Toti spiega perché per riaprire bisogna rinunciare al codice appalti

Carmelo Caruso

Il governatore della Liguria: “Per riaprire ci vuole l’affidamento diretto da parte della pubblica amministrazione ai privati”

Roma. “Sono il primo a dire che serve cautela, ma nello stesso tempo sono il primo a pensare che bisogna pronunciare la parola “riaprire”. Non è un delitto, ma una necessità proferirla”. E per il governatore della Liguria, Giovanni Toti, leader di Cambiamo!, non solo è urgente discuterne, ma sarebbe il caso di estendere, a proposito di modelli, il modello Liguria che poi è il modello Genova, quello che sta permettendo la ricostruzione del Ponte Morandi. “Non voglio fare polemica, ma credo che il governo si stia occupando della sussistenza, che certo è indispensabile, ma non vedo all’orizzonte un piano strategico. Abbiamo interrotto le nostre vite, ma adesso abbiamo il dovere di riprogrammarle. Un vaccino non ci sarà, ma questo non significa che possiamo rimanere chiusi in casa fino al suo arrivo”.

  

I dati di Confindustria testimoniano che le attività produttive sono tornate ai livelli del 1978. Un grande balzo indietro. E però, riaprire, adesso, per i virologi è impossibile e lo è altrettanto per il governo. E’ quella che Giuseppe Conte chiama fase 2 ma prevista per il dopo restrizioni. Anche lei è tra i pochi che vogliono tornare alla vita e subito? “Le restrizioni non si discutono. Ma vorrei portare all’attenzione quanto si sta facendo in Liguria. Ho disposto che tutti i cantieri (autostrade, viadotti, porti), tutte le ricostruzioni successive ai disastri idrogeologici, continuino. Lo spiego meglio. Non solo ritengo che gli operai, con le dovute precauzioni, non corrano rischi, ma mi spingo a dire che servirebbero non due turni di lavoro, ma tre. Non trovo scandaloso dirlo, ma trovo scandaloso che non se ne parli per niente” dice Toti che nella sua Liguria è riuscito a triplicare i posti di terapia intensiva e che certo non mette in discussione il ruolo degli scienziati, ma meno ancora rinuncia al ruolo di indirizzo che deve dare la politica. E per indirizzo, il governatore si riferisce sempre al bisogno di norme certe che preparino il dopo. “Non si è parlato delle regole di profilassi da attuare non appena sarà possibile uscire di casa. Ci sono categorie, come quelle dei ristoratori, che devono essere pronte, sapere ora come modificare spazi, quali accorgimenti adottare. Dobbiamo dotare tutti gli esercizi commerciali di mascherina? Bene. Ma dotiamoli. Non stiamo in casa come le tre scimmiette e basta”.

 

In pratica, vuole duellare con il governo Conte come sta facendo Attilio Fontana in Lombardia? “Innanzitutto voglio dire che lo Stato non ce l’avrebbe mai fatta senza le Regioni”. E qui, la polemica è con Andrea Orlando, ligure, e vicesegretario del Pd, che ha parlato di un ritorno al centralismo. “È sotto gli occhi di tutti come le regioni siano state più efficaci del governo. Non si contano i decreti d’urgenza, il balletto di autocertificazioni. Queste spinte neocentraliste le trovo inopportune” risponde Toti che ha un approccio naturalmente regionalista ed espansivo per tutto ciò che attiene le politiche emergenziali. “Registro in questi giorni troppi sussidi e pochi investimenti. I francesi hanno destinato trecento miliardi di euro per le loro imprese. I tedeschi cinquecento. Queste settimane possono essere un’opportunità storica per le nostre industrie. È proprio, in questo periodo di chiusura forzata, che le aziende potrebbero investire in innovazione, in tecnologie”.

 

Di nuovo il modello ligure? “Il modello ligure non è altro che velocità di decisione e possibilità di mettere in pratica quanto deciso” ribatte il governatore che è per scompaginare il vecchio codice degli appalti che non è adeguato alle “ore più buie”. “Sento dire: si ricostruirà come nel dopo guerra. Rispondo: benissimo. Ma non è che avevano il codice degli appalti che li frenava. Intendo dire che ci vuole l’affidamento diretto da parte della pubblica amministrazione ai privati. Cito quando diceva non un noto capitalista, ma un sindacalista come Giuseppe Di Vittorio: ‘Prima le fabbriche e poi le case’”. Insomma, chiede un governo di unità nazionale? “Chiedo solamente, a quello attuale, di uscire dalle ambiguità”.

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