Il prezzo della vita e gli altalenanti principi di un gran pulpito liberale
Cogliere il momentum con un “muoia chi può”. E leggere sull’Economist una sarcastica smentita dello spirito compassionevole del governatore di New York e del suo “meglio vivi che ricchi”
SI SALVI CHI PUO’: suona umanitario, socialistoide. In vista della ripresa basata sulla selezione naturale, di cui si discute in modo più o meno petulante, Selma, di cui sono il marito, ha corretto il tiro cogliendo il momentum con una vena comica: MUOIA CHI PUO’. Avevamo appena finito di ridacchiare che l’occhio mi è caduto sull’articolo dell’Economist in cui si dice, a sarcastica smentita dello spirito compassionevole di Andrew Cuomo, che forse alla fine dovremo consentire sulla circostanza che anche la vita umana ha un prezzo. Breve riassunto: Cuomo, governatore di New York, aveva affermato che “we are not going to put a dollar figure on human life”, una specie di “meglio vivi che ricchi”, e un redattore della tribuna augusta di St. James’s street, Londra, ha replicato con una domanda retorica: fino a quando potremo permetterci il lusso di ragionare così?
Come dimostrò lo scrittore sociologo e storico Pankaj Mishra recensendo nel novembre scorso una storia dell’Economist di Alexander Zevin, nei suoi 175 anni di vita il foglio dell’aristocrazia finanziaria (Marx) ha dato diverse interpretazioni politiche, civili, filosofiche e morali del concetto di liberalismo, che come ogni fenomeno umano ha un contenuto equivoco o equivocabile, ma sempre con argomenti solidi. Lo slogan fondativo di James Wilson, primo direttore, era “nothing but pure principles”, niente altro che puri principi. E l’Economist, anche con Bagehot, Hirsch e molti successori illustri del fondatore, non ha mai voluto apprendere la lezione amarognola e novecentista di un arcitaliano come Leo Longanesi: non appoggiatevi troppo ai principi, perché si piegano. Questo ha consentito ai nostri amici e maestri di incentivare il libero commercio con gli stati basati sulla schiavitù, “per non far danni agli schiavi e ai consumatori britannici”; di insistere che contro le limitazioni all’esportazione di cibo irlandese, durante la famosa carestia irlandese derivata dal libero commercio tra l’altro, bisognava applicare misure rigide di repressione; di considerare il colonialismo imperiale britannico un modo efficace di migliorare le etnie di rango inferiore; di resistere fino all’ultimo contro il voto alle donne, portatrici di vanità e isterismo; su su fino a famosi flirt con Mussolini, lettore assiduo, e Pinochet. Segnalammo qui la ricostruzione performativa delle glorie anche più discusse dell’Economist, mesi fa, e non vale ora ripeterci, con la clausola che nel tempo un conservatorismo liberale compassionevole si è fatto spazio in quelle pagine, come era implicito nel percorso della civiltà moderna e forse anche opportuno.
Gli argomenti solidi nascono come si sa dal fatto che in quella tribuna, che è senz’altro il miglior giornale del mondo, lavorano quasi esclusivamente tipi umani estratti non solo da Oxford e Cambridge, ma in particolare dal Magdalen College, fonte preziosa di ricerca, accademia e formazione stellare. Sono un po’ come gli scrittori della Civiltà Cattolica, sotto altro segno. E come dice a Mishra uno che era dei loro, Gideon Rachman, “la mancanza di diversità può essere benefica” perché consente coerenza di stile e uniformità nell’aderenza alla logica e al realismo. Mandare il mondo a puttane per un’influenza maligna con un tasso di “letalità plausibile” (si dice così) forse meno alto di quanto indichino le nude cifre assolute, questo è il sottotesto dell’articolo, può rivelarsi infine una cattiva idea, con effetti perniciosi che i lockdown spandono sulla salute economica e sociale e sulla salute fisica e mentale di moltitudini sottoposte a mesi di reclusione e separazione dal formicolante scambio tra umani. Anche i Wallenberg, che sono gli Agnelli svedesi, più cinici degli omologhi italiani, avvertono di fare attenzione perché la difesa e protezione dei vulnerabili del virus può trasformarsi, con esiti spettacolarmente tesi e conflittuali, in una riduzione a vulnerabilità della società intera.
Al di là del cinismo, forse solo apparente, è uno scontro tra valutazioni oggettive, tra giudizi sociali, e anche tra valori o principi. A me che sono in età da selezione va anche bene, per carità, ma ritengo importante che nessuno faccia affermazioni come queste in nome di “puri principi soltanto”. Con i suoi 175 anni ben portati l’Economist non finisce di festeggiare i suoi compleanni chiedendo una revisione dei canoni entrati in discussione, se non in crisi, del capitalismo liberale globalizzato, e si presenta come una potente forza di influenza in senso riformista, poco incline a perseverare nell’apologia incondizionata del profitto. Buona idea, da non appoggiare ai principi. MUOIA CHI PUO’.