Per una burocrazia 2.0
Giudici e amministrazione: a chi il controllo? Cosa può fare lo stato per rafforzare la democrazia decidente
Anche di recente, in occasione di vicende fondamentali per la politica industriale e ambientale del Paese (ex Ilva) o di decisioni giudiziarie ritenute fonte di un vulnus all’autonomia dell’amministrazione scolastica, si è ripreso a discutere dei rapporti tra giudici (penali e amministrativi) e amministrazione pubblica, non solo sui media ma anche nelle sedi scientifiche. Tradizionalmente, il tema è stato affrontato verificando se e come conciliare due contrapposte esigenze che da sempre si fronteggiano: da un lato, il bisogno di un efficace controllo giudiziale dell’operato dell’amministrazione; dall’altro, l’esigenza di riservare all’amministrazione il bilanciamento di interessi pubblici contrapposti (per esempio, quelli di politica industriale e ambientale) o l’individuazione della soluzione preferibile tra più giudizi tecnici o scientifici, tutti logici e razionali (come accade nelle gare per l’affidamento di appalti, nei concorsi per professori universitari o nelle vicende scolastiche). La ricerca di un difficile punto di equilibrio tra pienezza ed effettività del controllo dei giudici e cosiddetta riserva di amministrazione non è semplice. Quale è il nesso tra esigenze di prevedibilità e controllo dei giudici sull’amministrazione e quali i punti di possibile frizione?
Su un primo fronte, un potenziale vulnus alle esigenze della prevedibilità è dovuto al modo in cui vengono redatte le norme, con un ricorso crescente ad elementi elastici o a concetti giuridici indeterminati (si pensi al reato di inquinamento ambientale, descritto dalla legge come il fatto di chi “inquina l’ambiente abusivamente”) o, più in generale, a fattispecie a basso coefficiente di precisione descrittiva. Tanto meno è puntuale la descrizione legislativa degli elementi che compongono il reato, tanto più si demanda alla magistratura il compito di chiarire ex post, in via interpretativa, ciò che è illecito: il che rende molto difficile per il privato prevedere, al momento della condotta, se la stessa sarà considerata illecita. Su un secondo fronte, il rischio che siano compromesse le ragioni della prevedibilità è intimamente connesso alle possibili modalità con cui i giudici controllano quel segmento di attività amministrativa connotato, entro certi limiti, da un nucleo inevitabile di libertà o opinabilità: sono i casi frequentissimi e inevitabili in cui la legge assegna all’amministrazione il dovere e il compito di scegliere quella più opportuna o preferibile. Evitando condizionamenti indotti dalla considerazione di singole vicende processuali o di specifiche decisioni, problemi si porrebbero se il giudice dovesse sostituirsi del tutto all’amministrazione, anziché limitarsi a condurre un sindacato anche pieno ed intrinseco della discrezionalità esercitata da questa. Non vi è dubbio, infatti, che quando si entra nella sfera delle opinioni, con sostituzione dell’opinione (e non del giudizio di illegittimità) del giudice a quella dell’amministrazione, si è già nel campo dell’imprevedibile; il rischio, quindi, non è più solo che il giudice si sostituisca all’amministrazione, ma che tutto diventi incalcolabile, con pregiudizi sistemici evidenti, anche per gli impatti paralizzanti che possono determinarsi sul sistema economico. Quanto ai giudici amministrativi prevalgono atteggiamenti di tendenziale cautela nel contenzioso in tema di gare pubbliche, concorsi pubblici e atti dell’amministrazione scolastica. Atteggiamenti per cui non compete al giudice amministrativo sostituirsi all’amministrazione (fermo il pieno controllo di legittimità che gli spetta) laddove questa, sulla base di un giudizio tecnico, scientifico, culturale, sceglie una soluzione tra più soluzioni, tutte legittime. Si va delineando, invece, un’opzione per un controllo sostitutivo del giudice amministrativo nell’ambito del contenzioso sugli atti adottati da talune Autorità indipendenti al termine di procedimenti sanzionatori. Quanto al giudice penale, invece, perplessità sono da tempo espresse riguardo agli approcci seguiti in tema di diritto penale del territorio o dell’ambiente. Da decenni, infatti, quanto al reato di lottizzazione abusiva, i giudici penali, nel valutare la liceità di un intervento edilizio, ritengono di verificare direttamente la conformità dello stesso a tutti i parametri di legalità fissati dalla disciplina di settore, senza assegnare alcuna importanza alla circostanza che l’amministrazione abbia già autorizzato il privato. Si tratta dell’approccio che più ha suscitato una profonda riflessione. L’impegno del sistema di giustizia penale nell’accertare reati in contesti di illegalità diffusa e talvolta molto grave va certo apprezzato, e tuttavia si è sostenuto che, così operando, il giudice penale rischia di esercitare egli stesso la funzione di pianificatore postumo. Proprio il profilo della sostituzione è emerso, del resto, nella vicenda Ilva, dove ad essere contestati erano e sono, tra l’altro, gravissimi reati ambientali. E’ l’aspetto colto dalla Corte costituzionale nel 2013, quando fu chiamata dal G.I.P. di Taranto a valutare la legittimità del d.l. 3 dicembre 2012, n. 207, con cui il Governo dispose che – nonostante il sequestro giudiziario dell’impianto siderurgico tarantino, qualificato di interesse strategico nazionale – l’attività industriale potesse proseguire per un certo arco temporale, a condizione che fossero rispettate le prescrizioni contenute nell’Autorizzazione integrata ambientale, peraltro già riesaminata in seguito al sequestro. Ha sostenuto la Corte che “le opinioni del giudice, anche se fondate su particolari interpretazioni dei dati tecnici a sua disposizione, non possono sostituirsi alle valutazioni dell’amministrazione sulla tutela dell’ambiente, rispetto alla futura attività di un’azienda”. Controllo di legittimità anche penetrante, dunque, ma non sostituzione nella sfera libera dell’opinabile. Il confine è mobile, ma i parametri del sindacato di legittimità (ragionevolezza, logicità, proporzionalità) sono stati affinati in decenni di elaborazioni scientifiche e giurisprudenziali.
Roberto Garofoli, presidente di Sezione del Consiglio di stato