Dire sì al Mes sperando che il M5s ceda
La strada obbligata. Conte fa asse con Franceschini. Piani Ursula. Travagli grillini a Bruxelles
Roma. Alla fine Giuseppe Conte, lui che dice di parlare “da presidente del Consiglio e da avvocato” ma che sembra quasi il Padre provinciale del Manzoni, fa quello che meglio di tutto gli riesce: rimanda. Se il Mes gli piace oppure no, si capirà dopo il Consiglio europeo del 23 aprile, quello da cui dipende del resto anche il suo futuro politico. Si capirà, cioè, quando le regole del funzionamento del nuovo Fondo sarà più chiaro. Ma è un rinvio che è già l’inizio di quella che Dario Franceschini considera “una virata” rispetto all’arringa anti-Mes di venerdì scorso. E siccome quando capisce di aver vinto non è tipo che ami stravincere, il capo delegazione del Pd ieri ha suggerito a tutto il partito la linea della pacatezza: “Tanto il M5s non potrà che cedere”. Perché stavolta, insieme alla cautela, al Nazareno hanno scelto anche la fermezza, dopo qualche ambiguità di troppo sul Mes. “Perché l’identità europeista di questo governo non può in alcun modo essere messa in discussione”, dice Andrea Romano. E perché la partita sul Mes va molto al di là dei 36 miliardi di prestiti. “Il vero vantaggio della nuova linea di credito – dice il renziano Luigi Marattin – non sta tanto in quelle centinaia di milioni di euro di interessi annuali che risparmieremmo su quei 36 mld, ma sta nel poter accedere al programma Omt della Bce, che fornirebbe una rete di protezione illimitata alle nostre future emissioni di Btp. Parliamo di miliardi”. E poi, ovviamente, c’è anche la tattica. “Si tratta di strategia”, corregge un ministro del Pd. “Se Conte si mette a giocare su queste cose, dopo che il suo governo con noi è nato per tenerci in Europa, si scava la fossa e apre la strada a qualcun altro”.
Già: qualcun altro. E’ in fondo la paura dello stesso Conte: il quale ha seguito con una certa preoccupazione le mosse del Cav., il suo prendere le distanze da Salvini e Meloni sul Mes, e con ancora più inquietudine ha appreso che quello scarto era maturato dopo certe telefonate quirinalizie fatte per lo scambio degli auguri di Pasqua. Di qui le ombre, il gioco degli specchi in cui Conte vede il riflesso del viso di Draghi. “Questo governo è già morto. E siccome è un governo ridicolo, la ridicola sceneggiata sul Mes ne è la degna pietra tombale”, sogghigna Giorgio Mulè, a cui alcuni deputati azzurri chiedono un ragguaglio sul pallottoliere.
Se davvero intorno al Mes nascerà la nuova maggioranza Ursula, con dentro FI, Pd e Iv, servirebbero 30 grillini al Senato e 80 alla Camera. Senza contare che poi, come lo stesso Salvini ha confessato a qualche fedelissimo, “questa unità nazionale è una cosa che avrebbe un nome e un cognome”: e tutti si sono convinti che sono il nome e il cognome dell’ex governatore della Bce. “Con Draghi premier, Matteo accetta anche il Mes”, sorride un ex ministro leghista. Conte lo sa, e da qui viene la sua “virata”: la sua unica via di salvezza è accettare il Mes, sia pure camuffato sotto altro nome, e confidare che il M5s, allo sbando, lo ingoi. Che poi è anche la linea di Franceschini, tuttora scettico rispetto a un eventuale precipitare degli eventi. E una prima prova della verità ci sarà oggi, quando il M5s a Bruxelles dovrà decidere come esprimersi su una risoluzione congiunta dei macroniani di Renew Europe, Socialisti e Ppe: “La risoluzione cita sia i Recovery bond sia il Mes: e i grillini dovranno decidere da che parte stare”, dice Sandro Gozi, tra i promotori dell’iniziativa. Non hanno deciso, infatti. Dopo incontri e riunioni inconcludenti, ieri gli europarlamentari del M5s sono rimasti divisi: “Conte ha dato forza a chi vuole votare a favore, ma noi contrari siamo ancora in maggioranza”, dice Ignazio Corrao, che con altri tre colleghi votò già contro la nascita della Commissione von der Leyen. Ma Ursula dà, e Ursula toglie: un voto contrario del M5s alla risoluzione in nome della contrarietà al Mes, potrebbe segnare l’inizio della fine del bisConte, che proprio a Bruxelles, con quella convergenza tra Pd e grillini, era di fatto nato a luglio scorso.