“C'è ancora più Europa nel futuro italiano”
“I fondi del Mes? Non c’è ragione di dire di no. I bond? Ci stiamo arrivando, con un piano da 3.000 miliardi. La ricostruzione nel dopo lockdown? Ora maggioranza e opposizione devono dialogare”. Intervista a David Sassoli, presidente del Parlamento europeo
Presidente, what a Mes. “Già, ma con quante s?”. In questo caso una. “Anche se in Italia il Mes mi sembra sia sinonimo di pasticcio. Ma lei si rende conto che il tema Mes sì e Mes no è un tema di cui si discute solo in Italia?”. In che senso? “Leggo ogni giorno i quotidiani di tutta Europa e le confesso che in nessun paese trovo traccia di un dibattito come quello che c’è in Italia”. E che dibattito è quello italiano? “E’ un dibattito intorno a una questione incomprensibile. Mi dica: ma se una persona avesse bisogno di un aiuto economico per sostenere delle spese sanitarie e una banca fosse disposta a prestare a quella persona dei soldi senza condizioni a un tasso zero quella persona avrebbe una sola ragione per dire di no?”. No. “Bene: l’Italia oggi si trova in questa condizione. E sa perché il dibattito pubblico si è incancrenito?”. Lo dica lei. “Perché se invece che Mes lo avessimo chiamato Pippo tutti avrebbero avuto meno difficoltà a capire che quel meccanismo di cui molti parlano senza sapere quasi nulla è un meccanismo che è cambiato e che ha creato una linea di emergenza, pari al due per cento del pil di ciascun paese, di cui si può usufruire in modo immediato. Anzi, mi correggo, una condizione c’è”. Ecco la magagna! “Nessuna magagna: la condizione è che siano destinate a spese dirette o indirette che abbiano a che fare con il sostegno alle strutture sanitarie. In Italia si discute molto su quelle tre lettere, senza capirci molto, ma vedrà che quando gli altri paesi europei chiederanno di attingere a quel fondo, senza condizionalità così vincolanti, anche in Italia il dibattito di oggi sarà solo un vecchio e lontano ricordo. Anzi, qualcuno magari dirà: aiuto, stanno usando i nostri soldi. Perché l’Italia ha versato nelle casse del Mes 14,3 miliardi”.
David Sassoli è il presidente del Parlamento europeo e il suo angolo di osservazione è utile per provare a mettere a fuoco la traiettoria che potranno imboccare nei prossimi mesi i paesi maggiormente colpiti dagli effetti del coronavirus. Sassoli ha apprezzato il discorso fatto ieri in plenaria al Parlamento europeo da Ursula von der Leyen e suggerisce agli italiani di tenere a mente non solo la parte in cui la presidente della Commissione ha chiesto scusa al nostro paese (“è vero che molti erano assenti quando all’inizio della pandemia l’Italia ha avuto bisogno di aiuto, e che è vero, che l’Unione ora deve presentare una scusa sentita all’Italia”) ma anche la parte del discorso in cui la presidente rivendica un fatto incontestabile: “La Ue oggi è il cuore pulsante della solidarietà ed è in piedi per aiutare chi ha più bisogno”. “L’Europa – dice Sassoli – è partita tardi ma da quando è partita ha fatto tutto ciò che era necessario fare per affrontare la crisi. Sento parlare molto di strumenti, di cose da fare, di cose che mancano, ma sento molto poco parlare di obiettivi. Il tema su cui oggi bisognerebbe concentrarsi è invece questo: che tipo di piano di ricostruzione vogliamo mettere in campo e come si arriva a quell’obiettivo? Da questo punto di vista all’Europa si può rimproverare un iniziale ritardo ma non si può invece rimproverare un’assenza di velocità nel mettere a punto le misure necessarie per affrontare la crisi. Fino a oggi sono stati mobilitati, tra Bce, fondo Sure, Mes, Patto di stabilità allentato, fondi strutturali, circa 2.770 miliardi di euro e penso sia credibile la previsione fatta sia da Christine Lagarde sia da Ursula von der Leyen: il piano di ricostruzione dell’Europa potrà e forse dovrà avere una potenza di fuoco pari a 3 mila miliardi di euro”. E gli Eurobond? “Altra parola con cui stiamo intossicando il dibattito pubblico”. Ma si faranno o no? E c’è da aspettarsi o no un qualche annuncio importante su questo fronte al prossimo Consiglio europeo? “Il dibattito sulla possibilità che vi sia da parte delle istituzioni europee la forza di creare dei bond è un dibattito senza senso perché l’Europa ha già oggi due strumenti con cui emette bond. Il primo strumento è il Mes, che ha un deposito di 80 miliardi di euro che arriva fino a 410 miliardi di euro e che si finanzia per l’appunto con l’emissione di bond. Il secondo strumento è invece il fondo Sure, il fondo appena creato per il sostegno alla disoccupazione, ed è un fondo che si finanzia anch’esso con l’emissione dei bond”. Ripetiamo la domanda: ma gli Eurobond?
“Io penso che in Europa stia emergendo una linea maggioritaria che, usando il bilancio pluriennale dell’Unione, possa consentire l’emissione di titoli comuni. Questi titoli potremmo chiamarli, come dice la risoluzione del Parlamento, Recovery bond, avranno la tripla ‘A’ e serviranno a finanziare il piano di ricostruzione. Ecco, più chiaro di così…”. Chiaro, presidente, ma se le chiedessi se questa è la linea del governo lei saprebbe rispondere? “Mi pare di sì: all’Italia servono soldi freschi e dopo una manovra da 400 miliardi che comunque inciderà sul debito pubblico, trovare altre risorse che non peseranno sul debito sarà essenziale. Specialmente se l’onere sarà condiviso fra tutti gli stati europei”. E per il dopo emergenza è d’accordo con chi dice che il destino dell’Italia dipende più da ciò che può fare l’Italia per se stessa che da ciò che può fare l’Europa per l’Italia? “Servono tutte e due le cose. Anche se spesso usiamo l’Europa come alibi alle nostre inefficienze. In questa fase servono risposte straordinarie e io credo che le istituzioni europee, nessuna esclusa, stiano facendo il loro lavoro con concentrazione e celerità. Ma penso anche che gli ultimi mesi vissuti dal nostro paese abbiano offerto all’Italia alcune indicazioni chiare su cosa serva al paese per uscire dalla pandemia più forti di prima”. Per esempio? “Ci vuole pragmatismo. Occorre lavorare per avere una democrazia più efficiente. Dobbiamo impegnarci per avere un sistema sanitario che eroghi servizi di pari livello qualitativo a tutti i cittadini e investire di più e meglio nella sanità pubblica”.
A proposito di pragmatismo, presidente Sassoli, lei è d’accordo con chi dice che in un paese come l’Italia sarebbe auspicabile lavorare al dopo lockdown avvicinando quanto più possibile al governo le cosiddette anime più europeiste? “Mi sembra che già il presidente del Consiglio si faccia carico di rappresentare le anime europeiste. D’altronde anche la risoluzione che oggi sarà votata dal Parlamento europeo sull’emergenza Covid-19 vede la convergenza dei gruppi europeisti compreso il Partito popolare. E’ bene quando tutti rinunciano a qualcosa per consentire scelte utili e condivise”. Proviamo a essere più espliciti ancora, presidente. Lei, poco meno di un anno fa, è stato eletto da una maggioranza trasversale (socialisti, liberali e popolari, in primis) e sia il M5s (dando libertà di coscienza) sia Forza Italia (optando per l’astensione) hanno chiesto ai propri parlamentari di non votare contro di lei. Pensa che quello schema di gioco possa essere prezioso e utile anche in Italia in vista di una fase due nella gestione dell’emergenza? “Il mio ruolo non mi consente di entrare in questo tipo di dibattito. Credo che in una fase di emergenza maggioranza e opposizione debbano dialogare e concertare. Questo non solo non è uno scandalo, ma è raccomandabile”.
Sassoli parla di una risoluzione del Parlamento europeo relativa a “un’azione coordinata dell’Ue per lottare contro la pandemia di Covid-19 e le sue conseguenze” e quella risoluzione, nota il presidente del Parlamento europeo, ha una caratteristica interessante: è firmata da tutti i principali gruppi parlamentari, dai socialisti (S&D) ai popolari (Ppe) passando per i Verdi (Verts/Ale) e i macroniani (Renew). Sassoli individua in quella risoluzione due punti chiave. Primo: un invito alla Commissione “a proporre un massiccio pacchetto di investimenti per la ripresa e la ricostruzione a sostegno dell’economia europea dopo la crisi, che vada al di là di ciò che stanno già facendo il Meccanismo europeo di stabilità, la Banca europea per gli investimenti e la Banca centrale europea e che si inserisca nel nuovo quadro finanziario pluriennale”. Secondo punto: finanziare il pacchetto della Commissione usando strumenti innovativi e non convenzionali, come i Recovery bond da collocare sui mercati finanziari. Terzo punto: usare tutti i fondi del Mes, 410 miliardi, con l’unica condizione dell’utilizzo per l’emergenza sanitaria. “Tutti coloro che si sono battuti contro il contestatissimo Fondo salva stati dovrebbero essere contenti”.
E sull’uscita dall’emergenza? Cosa si vede da Bruxelles? “Molto disordine. Ci sono due aspetti che andrebbero sottolineati. Il primo riguarda la necessità di non farsi trovare impreparati nel momento in cui si deciderà di ripartire. Il che si traduce nella necessità di predisporre per tempo piani per evitare che la recessione economica sia non meno traumatica della pandemia. Il secondo aspetto riguarda i differenti approcci che i singoli stati hanno avuto per contenere la diffusione del virus. Penso per esempio alla Germania che in queste settimane ha scelto di ricorrere in maniera massiccia ai tamponi, mentre altri paesi hanno percorso altre strade. Ciò dimostra che prima di riaprire sarebbe bene definire modalità comuni. Si dirà, anche su questo, che fa l’Europa? In questo caso solo raccomandazioni perché la responsabilità è esclusivamente degli stati. Anche in questo caso trasferire poteri all’Europa sarebbe nell’interesse dei cittadini. Da questa crisi possiamo uscirne soltanto insieme e con un’Unione più forte”.