Crimi dice al M5s che deve ingoiare il Mes
"Se è senza condizionalità, perché no?", spiega il reggente. Lo spettacolo del grillismo che, per sopravvivere, deve rinnegare se stesso. Proseguono le defezioni, intanto: altri due deputati abbandonano il gruppo
Un Mes senza condizioni? "Lo valuteremo: non possiamo non valutare la situazione in cui non ci sono condizionalità, ci mancherebbe”. Così parlò Vito Crimi, reggente per caso del M5s. Confermando come del resto, se costretti a farlo, viene sempre il giorno in cui i grillini ammainano le loro bandiere, rinunciano ai loro supposti irrinunciabili princìpi e ingoiano quel che c'è da ingoiare. Sarà per spirito di autoconservazione, sarà per la rassegnazione alla durezza della realtà dei fatti che non si piega sotto il colpo di uno sconclusionato ideologismo: ma alla fine, per sopravvivere, il grillismo deve rinnegare se stesso.
Certo, nella sua intervista rilasciata stamane a "Radio Anch'io", Crimi dà un colpo al cerchio e uno alla botte. E infatti, dopo aver sostanzialmente aperto alla possibilità di utilizzare un Mes depurato delle sue condizionalità macroeconomiche, il senatore grillino, viceministro dell'Interno, subito precisa: "Il problema oggi è che questo strumento ci porta delle condizionalità future anche imprevedibili. Se avessimo la certezza che nessuno dopo due-tre anni venga a commissariare il paese, è chiaro che potremmo prenderlo in considerazione. Ma questo deve essere certo e oggi non lo è".
Il solito pastrocchio di corbellerie, dacché non si capisce come qualcuno "dopo due-tre anni", magari nottetempo e col favore delle tenebre (semicit.), possa venire a "commissariare il paese". Scorie non smaltite di una retorica sovranista che ricorda un po' il "cavallo di Troika" evocato da Giorgia Meloni. Ma il dato politico è evidentemente un altro: all'indomani dell'accordo chiuso in Europa sul pacchetto di aiuti e rivendicato con enfasi eccessiva dal premier Giuseppe Conte come una vittoria, i vertici del M5s sostengono la bontà di un'intesa che si fonda anche sul Mes, con buona pace del milite ignobile Di Battista e dei suoi seguaci. Perché proprio il Fondo salva stati è ciò su cui, con ogni probabilità, si dovrà fare affidamento nel breve periodo, ottenendo 37 miliardi di prestito a condizioni più che vantaggiose, nel mentre che si definisca l'erogazione dei fondi del Sure e della Bei, e intanto che, soprattutto, venga dato forma e sostanza a quel Recovery fund su cui ancora tanti nodi vanno sciolti. "E' quella la vera battaglia", dice ai parlamentari che lo interpellano, non a caso, anche Luigi Di Maio. Pure lui rassegnato alla necessità di attivare il "nuovo" Mes, evidentemente, e comunque estenuato dai malumori interni al gruppo.
Malumori che, del resto, riguardano non solo l'ala ortodossa, sovranista e barricadera. Anzi, nelle ultime ore ad abbandonare la truppa sono stati due deputati ascrivibili a quella schiera di liberi professionisti estranei alla galassia del grillismo e che erano stati reclutati in vista del 4 marzo del 2018. Il primo, ieri sera, è stato Antonio Zennaro, commercialista abruzzese, membro del Copasir, in rotta di collisione ormai perpetua con la plenipotenziaria del M5s in tema economico, Laura Castelli. Stamane, poi, è stata la volta di Fabiola Bologna, medico lombardo che viveva ormai da separata in casa nel gruppo, dopo che - nell'estate del 2018 - era stata marginalizzata da molti suoi colleghi in quanto risolutamente contraria alle istanze NO-Vax del M5s. Quelle, per capirci, propagandate da Paola Taverna, vicepresidente del Senato. La quale, ieri, ha esultato per la vittoria dell'Italia al Consiglio europeo ("Oggi si riscrive la storia", sic), neanche fosse una convinta sostenitrice del Mes. Per dire di come si cambia, per non morire.