Roma. La logica politica imporrebbe di considerare quelle di Vito Crimi (“Un Mes senza condizionalità? Come potremmo non valutarlo?”), come le parole dell’apertura del M5s al Fondo salva stati, quella di ieri come la giornata della resa del grillismo – come è stato per la Tav, la Tap, i vaccini e tutto il resto – alla cruda prepotenza della realtà. Solo che siccome si ha a che fare col M5s, sulla logica politica è meglio non fare troppo affidamento. Se ne è convinto, una volta di più, anche il viceministro dell’Economia Antonio Misiani, che giovedì sera, con un Def ancora in via di definizione e il Consiglio europeo appena concluso, s’è dovuto chiudere nella stanza del governo insieme alla sua omologa grillina Laura Castelli per dirle che “no, l’ordine del giorno della Meloni non possiamo votarlo”. Un atto del tutto strumentale, quello della leader di FdI, che non aveva altro obiettivo che stanare i grillini: “Se siete davvero contro il Mes, votate con noi”. Bastava molto meno per spingere la Castelli a tentare una soluzione di compromesso, chiedendo una riformulazione dell’odg imboccando un sentiero pericoloso, nella tattica parlamentare, che già una volta aveva costretto maggioranza e opposizione, a Montecitorio, a votare i mini-bot tanto cari a Borghi e Salvini. E insomma è finita che alle dieci di sera, nel bel mezzo di una pandemia e con una manovra da 55 miliardi da perfezionare, Dario Franceschini s’è trovato a costretto a occuparsi di un ordine del giorno. “Il punto è politico: noi l’odg della Meloni non lo votiamo”, ha tagliato corto il capo delegazione del Pd, sperando che la cosa fosse finita lì.
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