Il reggente del M5s, Vito Crimi, con il premier Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Uno vale nessuno: il M5s e lo show dell'oligarchia spacciata per nuova democrazia

Luciano Capone

Premier non eletto. Capo non votato. Padrone mai scelto

Viviamo tutti in uno stato sospeso di democrazia. E’ naturale che l’epidemia, una situazione davvero eccezionale, porti a modalità di decisione straordinarie. Dove però la democrazia sembra completamente accantonata è in quell’organismo politico che aveva promesso l’avvento della democrazia totale, l’abbattimento di ogni struttura di mediazione del potere, per dare il “potere” direttamente in mano a ogni singolo cittadino: la “democrazia diretta”, appunto, dove “ognuno vale uno”. Per raccontare la parabola del M5s servirebbe uno come Robert Michels, il sociologo tedesco e poi naturalizzato italiano, socialista e poi diventato fascista, esponente dell’elitismo italiano insieme a Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, che illustrò quella che poi è diventata nota come “ferrea legge dell’oligarchia”.

 

Nel suo libro più famoso, “La sociologia del partito politico nella democrazia moderna”, dissezionando il funzionamento del suo partito, il Partito socialdemocratico tedesco (Spd), Michels descrisse, prima come militante e poi come studioso, il paradosso del partito che più di ogni altro aveva sulla bocca la parola “uguaglianza” e che era tutt’altro che democratico. Anche lì gli iscritti e i proletari erano tutti uguali, a parole ognuno valeva uno, ma alla fine le decisioni venivano prese da un ristretto gruppo di dirigenti. Non c’era alcun tradimento volontario dei valori ugualitari alla base del partito, non c’era stato un complotto dell’élite contro la base, ma un’evoluzione naturale: la necessità di darsi una struttura per organizzare il movimento politico porta alla formazione di un’oligarchia: “L’organizzazione scinde definitivamente ogni partito in una minoranza che governa e in una maggioranza che ne è governata”. E’ così e basta. Se in generale la legge ferrea di Michels afferma che chi dice organizzazione dice tendenza all’oligarchia, nel M5s la trasformazione genetica è davvero incredibile ed è avvenuta in modalità mai viste prima, in nessun altro partito di ispirazione democratica. E questo è evidente nelle tre figure di spicco del partito.

 

Il presidente del Consiglio. Il M5s ha espresso due volte come premier Giuseppe Conte, un professore universitario che non è mai stato candidato dagli iscritti al partito a quel ruolo, ed è stato scelto attraverso due diversi accordi parlamentari con due forze politiche opposte, disattendendo il mandato elettorale che imponeva il divieto di alleanze con entrambi questi partiti. I militanti sono stati al massimo chiamati a ratificare.

 

Il Capo politico. Dopo le dimissioni di Luigi Di Maio attualmente, e a tempo indeterminato, il leader del partito – quello che una volta sarebbe stato chiamato segretario politico – è Vito Crimi, un parlamentare che non è mai stato eletto per quel ruolo. E’ un incarico temporaneo, ma Crimi ha “pieni poteri”, e non si sa ancora quando ci sarà un’elezione. Tra l’altro per genetica, infrastruttura informatica e giuridica, il M5s è l’unico partito che potrebbe procedere a elezioni e consultazioni democratiche online, quindi anche al tempo della pandemia. Ma tutto è rinviato a data da destinarsi, perché così è stato stabilito non si sa da chi né in quale organismo decisionale. Infine c’è Davide Casaleggio, che è un po’ il proprietario della democrazia del M5s, il padrone meccanismi decisionali, selezionato per diritto successorio, in quanto erede del profeta Gianroberto.

 

La struttura del partito della rete non reticolare ma piramidale. L’ultima manifestazione della “democrazia diretta” è stata l’elezione dei “facilitatori organizzativi nazionali del Team del futuro”, il nome orwelliano di una specie di segreteria politica che in realtà non ha poteri. Questo è l’ulteriore paradosso: nel partito che ha come principio fondamentale la democrazia diretta, l’unica oligarchia eletta è quella che non conta nulla. Con il M5s la legge dell’oligarchia di Michels non è ferrea, ma diventa aurea.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali