Liberarsi dal virus e dal giogo della società chiusa
Contro l’immobilismo, il pregiudizio anti impresa, il circo mediatico-giudiziario. La crisi come opportunità per scommettere sul futuro
Si dice che non bisogna mai lasciare che una buona crisi vada sprecata. Una crisi, per quanto spiacevole, è spesso l’occasione per realizzare cambiamenti altrimenti impensabili e porta con sé l’opportunità di una risposta creativa. Per noi, trasformare la crisi in un’opportunità significa abbandonare molte delle posizioni sbagliate e pericolose che circolano nella maggioranza che sostiene il governo, ma vuol dire anche fare i conti con un problema che il direttore del Foglio ha riassunto magnificamente: “Uno dei virus economici dell’Italia coincide con l’aver trasformato l’immobilismo nell’unica forma di legalità consentita. E fino a quando le leve dell’economia saranno nelle mani della repubblica giudiziaria l’Italia continuerà a essere un paese destinato a castrare la libertà di impresa e semplicemente incapace di costruire il suo futuro”.
Quella che a Trieste viene definita la cultura del “No se pol” è, tuttavia, una mentalità diffusa e molto difficile da sconfiggere (Andrej Praselj, un giovane del posto, ha sviluppato un videogioco in cui bisogna schivare degli zombie che, al grido di «no se pol», inseguono chiunque abbia una buona idea). Dal crollo della mediazione politica tradizionale, da quando il vecchio sistema ha cominciato a sgretolarsi e molte altre trasformazioni sociali hanno generato insicurezza e spaesamento, il nostro paese è pieno di Savonarola che tuonano dal pulpito con toni apocalittici e invitano al pentimento e alla conversione; e da allora, il “popolo” invoca la moralizzazione (e il castigo) dalle piazze virtuali. Insomma, il populismo ha trionfato sulle rovine del sistema politico tradizionale e antiche e radicate concezioni del mondo hanno rialzato la testa inscenando un copione che, in ogni tempo e in ogni luogo, è sempre lo stesso: c’era una volta un popolo puro; la modernità (la secolarizzazione, il liberalismo, il capitalismo, il profitto, ecc.), lo ha corrotto; finché un profeta verrà a redimere il popolo predestinato, a cacciare i peccatori e ad aprire le porte della terra promessa.
Se l’Italia continua, per dirla con Domenico Marafioti, a muoversi “a passo di giudice”, se la “explosion juidiciaire” ha assunto in Italia tratti che non hanno riscontro in altri ordinamenti; se alcune correnti della magistratura proclamano da tempo l’idea di una funzione giudiziaria non solo di tutela dell’individuo, ma anche di “garantismo collettivo”, quasi contrapposta ad altri poteri dello stato (con effetti di delegittimazione sia della funzione legislativa che di quella di governo), è perché per la maggioranza degli italiani tutto ciò è giustificato e legittimato dalla necessità di “salvare” il paese (dalla corruzione dilagante, dalla criminalità diffusa e ora dalla “disuguaglianza”). Che poi, in realtà, le cose non stiano così e che, per esempio, ci sia uno scarto assai significativo tra corruzione percepita e corruzione reale (come rivela il Rapporto Eurobarometro, gli italiani si autorappresentano come corrotti pur essendo invece nella media europea quanto a esperienza diretta di fenomeni corruttivi), non importa a nessuno.
Come ricorda Tyrion nel finale di “Trono di Spade”, “non c’è niente di più potente al mondo di una buona storia. Niente può fermarla. Nessun nemico può sconfiggerla”. Alla base dell’ipertrofia di norme e regole che governano la nostra società, dell’enorme quantità di inchieste e dell’appoggio entusiastico dei media e di alcuni partiti, c’è infatti una visione del mondo. Una visione agli antipodi della società aperta. Non per caso, sono in molti a pensare che lo stato (uno stato etico che vigila e dirige, paterno con i sudditi, spietato con gli eretici) abbia il dovere di moralizzare e omogeneizzare il popolo e che adesso sia venuto il momento dell’espiazione. Per molti il coronavirus annuncia la rivincita dello stato sul mercato, della natura sull’uomo, del popolo sul neoliberismo. Ovviamente, se c’è “colpa” ci deve essere “colpevole”.
In questo senso, la vicenda del Pio Albergo Trivulzio è emblematica del clima di caccia alle streghe che si è sviluppato. La scelta del capro espiatorio da sacrificare perché si plachino gli dei (o la natura) non è mai accidentale e dipende, come ha chiarito Loris Zanatta in uno splendido articolo sul quotidiano argentino Clarin, dalla nostra “cultura”, dalla scala dei valori della nostra società. “Non vedo Angela Merkel che dà del ‘miserabile’ a un imprenditore”, spiega Zanatta. “In una società in cui l’etica del lavoro è sacra, ci rimetterebbe. Ma non mi sorprende che lo abbia fatto il presidente argentino, né che i sondaggi lo premino: se il benessere è un peccato e la povertà una virtù, se fare affari significa ‘adorare il vitello d’oro’, insultarlo tira l’acqua al suo mulino: c’è un capro espiatorio migliore?”. Dunque non sorprende neppure, aggiungo, l’uscita di Michele Serra, per il quale i lombardi “hanno sempre ignorato ogni correzione alla religione del profitto”, né sorprendono episodi come quello di Monfalcone, in cui i Nas (in nome del monopolio pubblico in materia) hanno sequestrato i tamponi a un’impresa che stava facendo i test ai suoi lavoratori. Come ricorda Friedrich Hayek, in Italia e in Germania fu l’insegnamento dei socialisti a spianare la strada ai fascisti; e uno degli effetti dell’insegnamento socialista fu proprio “il deliberato disprezzo per tutte le attività che implicassero il rischio economico e l’obbrobrio morale gettato sui guadagni che compensano i rischi, ma che solo in pochi possono realizzare”.
Non si può fermare la corrida mediatico-giudiziaria, tagliare le unghie ai burosauri e rimettere in sesto il paese se non si combatte questa mentalità. Non sarà l’intervento massiccio dello stato invocato dal segretario della Cgil Maurizio Landini per garantire non più profitto ma sicurezza, qualità della vita e del lavoro e giustizia sociale, a sistemare le cose. La ricchezza si crea nel settore privato e si crea nell’impresa. Dipenderà come sempre dai “miserabili” che scommettono sul futuro, puntano sul quel che credono di vedere e altri non vedono, investono, rischiano e producono, riuscendo a sfuggire agli zombie del “No se pol”. Dipenderà dal loro entusiasmo e dal loro ottimismo. Aiutiamoli.