La grande sfida della generazione 2011
Da Meloni a Salvini passando per il M5s e il modello Renzi. Le leadership esplose dopo la crisi del 2011 e la grande partita del futuro: più che cambiare governo (oh, really?) cambiare registro e adattarsi con nuove idee alla rivoluzione di un mondo che cambia
A voler utilizzare una lente di ingrandimento un filo sbarazzina, il movimentato dibattito parlamentare andato in scena ieri tra la Camera e il Senato, a margine dell’informativa del presidente del Consiglio, ci dimostra che, a pochi giorni dall’inizio della fase 2 del lockdown, il mondo della politica sembra essere pronto a tornare alla normalità ben prima del resto del paese. In questo caso, il ritorno alla normalità coincide con la messa in scena di un copione già ampiamente sperimentato nel corso di questa legislatura, all’interno del quale vi è periodicamente il leader di un partito di maggioranza che inizia ad attaccare la maggioranza come se non facesse parte di quella maggioranza.
Nel corso del primo anno della legislatura, il ruolo è stato ricoperto da Matteo Salvini e oggi quel ruolo viene ricoperto da Matteo Renzi, il quale ieri – presentando a Giuseppe Conte un severo ultimatum, “noi non abbiamo negato i pieni poteri a Salvini per darli ad altri” – è tornato con una velocità maggiore rispetto al resto del paese alla fase precedente al lockdown: fare tutto il possibile per mandare a casa Conte al fine di costruire una maggioranza diversa, capace di traghettare l’Italia, con più vigore rispetto a oggi, da qui alla fine della legislatura. L’ultimatum di Renzi, al di là del giudizio di merito sul dare un ultimatum al presidente del Consiglio del proprio governo nel mezzo di una pandemia, è un ultimatum che fa leva anche su una consapevolezza diffusa all’interno dell’ex partito di Renzi, il Pd, e quella consapevolezza porta da tempo un pezzo importante del gruppo dirigente Dem a considerare prioritario per l’Italia non un cambio di premier ma un cambio di passo del governo, anche a costo di dover cambiare alcuni equilibri.
Matteo Renzi sogna di cambiare premier per creare una maggioranza che sia “la più ampia possibile” e che metta insieme tutto ciò che si può mettere insieme in Parlamento: M5s, Pd, Forza Italia, Italia viva e persino la Lega. Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha invece uno schema diverso, condiviso con il motore della strategia politica del partito di Silvio Berlusconi, ovvero Gianni Letta, e quello schema prevede un tentativo di rafforzare la maggioranza avvicinando all’esecutivo Forza Italia e liberando il partito di Silvio Berlusconi dall’abbraccio della Lega sovranista grazie all’introduzione della legge proporzionale. I numeri di Camera e Senato dicono che un cambio di maggioranza è difficile ma non del tutto impossibile e il pallottoliere dice quanto segue: la somma di senatori che potrebbero mettere insieme Pd (35), Forza Italia (61), Italia viva (17), il gruppo Misto (22) e il gruppo della autonomie (8) al Senato è pari a 143 unità e basterebbero appena 23 senatori del M5s (su un totale di 96 grillini presenti a Palazzo Madama) per tentare un altro governo; mentre dall’altra parte la somma di parlamentari che potrebbero mettere insieme Pd (90), Forza Italia (97), Italia viva (30) e il gruppo Misto (38) alla Camera è pari a 255 unità e in questo caso basterebbero 50 deputati del M5s (sui 204 totali) per avere una nuova maggioranza.
Studiare le geometrie della politica parlamentare è utile per provare a capire quello che potrebbe accadere nei prossimi mesi (speriamo di cuore che chi ha lavorato per negare i pieni poteri a Salvini faccia di tutto per non ridargli poteri, dopo averglieli magnificamente tolti) ma il tentativo di ristabilire le coordinate di una vecchia e forse impossibile normalità nasconde un vizio di forma difficile da sradicare che coincide con una domanda semplice: siamo sicuri che la generazione di leader maturata a cavallo della crisi del 2011 abbia compreso che per intercettare la nuova domanda politica che si andrà a codificare nella stagione della pandemia occorre una nuova offerta? La Lega di Matteo Salvini (diventato segretario nel 2013), il partito di Giorgia Meloni (nato nel 2012), il M5s (che esplode nel 2013) e la leadership renziana (che diventa leader del Pd nel 2013) sono fenomeni politici diversi l’uno dall’altro ma che hanno un punto di contatto comune: si affermano come leadership capaci di dare risposte alla crisi del 2013 offrendo idee diametralmente opposte (Renzi eredita lo spirito della grande coalizione di Monti, gli altri la rinnegano) ma sviluppando una grammatica politica plasmata su quella stagione.
In questa prospettiva, molti politici hanno lo stesso problema degli economisti esplosi nel dopo 2011 (vedi qui) e per non essere fuori fase, nella nuova fase, hanno la necessità di riconvertire la produzione e fare i conti con una rivoluzione culturale che in assenza di un nuovo registro, più vicino alla nuova normalità che alla vecchia normalità, minaccia di spazzare via un'intera classe politica. In questa nuova stagione, le crisi ci saranno ancora, gli scazzi tra gli alleati continueranno a non mancare, le scazzottate non potranno non esserci, ma è facile immaginare che di fronte a un dramma come la pandemia gli elettori tenderanno a premiare più i partiti capaci di dare risposte innovative, di offrire idee originali, di far ragionare i propri alleati e di fare un buon minestrone con i pochi ingredienti disponibili (cosa che finora Renzi, con il Pd, ha cercato di fare) che quelli, per dire, desiderosi di organizzare consultazioni nel mezzo di una pandemia. Cambiare governo è sempre legittimo e tutto può succedere, specie in un momento in cui la stabilità economica dell’Italia è tutto tranne che stabile. Ma forse prima ancora di cambiare governo, per i leader con la testa sulle spalle, sarebbe ora di adattarsi al nuovo mondo e di provare semplicemente a cambiare registro.