Varo dell'ultimo impalcato che completa la struttura del nuovo Ponte di Genova (foto LaPresse)

Il Ponte è un modello per le competenze non per le procedure

Stefano Cianciotta

La deroga alle procedure ordinarie è importante, ma il miracolo di Genova è delle persone. Infrastrutture vitali per il domani

Ha ragione Renzo Piano, il completamento del nuovo Ponte di Genova non può essere una festa, ma certamente costituisce l’occasione per ragionare sulle azioni da intraprendere per trasformare questo risultato in una buona pratica, dove al centro ci sono tecnologie, know how, competenze e management. Dopo la tragedia di Genova scrivemmo qui sul Foglio che bisognava evitare un pericoloso dualismo tra la necessità di manutenere le opere esistenti e l’indubbia urgenza di nuove infrastrutture. Lo stato dovrà indebitarsi in modo consistente per contrastare l’emergenza sanitaria, e gli investimenti in nuove infrastrutture oggi non possono essere rinviati. Il ricorso al privato è fondamentale.

 

Chi scrive è sempre stato contrario alla revoca delle concessioni autostradali e la ridefinizione dei contratti (sarà opportuno chiarire finalmente in che modo lo Stato eserciterà il suo ruolo di controllore) servirà a stemperare una situazione diventata ormai insostenibile, che potrebbe determinare conseguenze giudiziarie imprevedibili con un aggravio di costi considerevoli del servizio. La crisi causata dal Covid-19 sta confermando alcune tendenze già in atto, come la centralità della logistica e la propensione delle grandi aziende allo smart working. Se le infrastrutture materiali e digitali erano prioritarie prima di questa crisi, ora vi è l’assoluta urgenza di accelerare questi investimenti perché altrimenti si corre seriamente il rischio di compromettere 60 anni di crescita industriale segnata anche dalla realizzazione di opere eccellenti come il Ponte Morandi, che era la sintesi di un Paese che sperimentava e innovava, come testimoniano gli straordinari manufatti della Bologna-Firenze, un’infrastruttura simbolica dell’Italia di allora che sfidava il futuro. Quei ponti, per la bellezza, l’ingegno e la tecnologia, dovrebbero essere catalogati come patrimonio Unesco.

 

Dopo Tangentopoli l’opposizione costante alle infrastrutture, percepite non come metafora dello sviluppo ma come il presupposto della corruzione, è diventata la cifra del paese, come testimoniano anche i casi eclatanti della TAP, della TAV e della stessa Gronda di Genova. Negli ultimi decenni, invece, l’Italia ha realizzato solo il 13 per cento di nuove infrastrutture, e in prevalenza sono state le nuove arterie ferroviarie a modificare la mobilità nel nostro paese.

 

Chi scrive fa parte del Tavolo tecnico istituito al MISE dal Ministro Patuanelli per il rilancio dell’edilizia e delle infrastrutture. Questo tema andava posto anche all’attenzione della Presidenza del Consiglio, perché trasporti e logistica dovevano essere rappresentati come strumento intorno al quale ricostruire il futuro del Paese. Ad eccezione delle competenze in tema di management digitale di Colao questa area, come del resto il sistema dell’industria, sono stati esclusi dalla task force. E a proposito di logistica e delle nuove intermodalità, non c’è un provvedimento del governo di sostegno ai porti e all’economia del mare. Del resto la portualità è fuori dai radar degli esecutivi da molti anni e ogni Autorità Portuale pur dipendendo dal MIT si muove in modo autonomo, come ha fatto a novembre 2019 il Porto di Trieste siglando un importante accordo con il gruppo cinese China Communication Construction Company. Il porto di Trieste, infatti, è la piattaforma più importante di collegamento con i porti del Nord Europa. La Cina, al quale la miopia europea aveva regalato il Pireo alcuni anni fa, già possiede i porti di Valencia, Bilbao, Bur Said, Alessandria, Haifa, Gibuti, e ha partecipazioni significative a Rotterdam e Suez. La conquista dello spazio e la scelta di lasciare la terra per vincere la resistenza del mare, è stato uno dei presupposti che hanno trasformato in pochi secoli un Paese dedito alla pastorizia come la Gran Bretagna, nel più potente e importante impero, che aveva imposto il suo concetto di spazio non solo con l’uso della forza, ma soprattutto con gli strumenti della finanza e con la conquista e la costruzione di piattaforme, per fare fluire velocemente le merci da una parte all’altra del globo.

 

I porti in quella strategia avevano un ruolo decisivo perché costituivano dei presidi e degli snodi sui territori, dei gatekeeper. E, come insegnano anche i casi recenti di Amazon e Ikea, chi governa e gestisce le piattaforme determina il flusso di tutti gli altri. L’Italia torni ad essere il naturale gatekeeper politico, culturale e logistico del Mediterraneo, altrimenti deve rassegnarsi ad essere una bandierina nella nuova geopolitica della logistica integrata. Per tornare a investire nelle infrastrutture occorre, però, rafforzare i ruoli tecnici nelle pubbliche amministrazioni, che devono tornare ad avere nelle strutture tecniche allargate dei veri e propri centri di competenza capaci di fare programmazione e monitoraggio e controllo, dove possano finalmente lavorare insieme non solo ingegneri e architetti, ma tutte quelle competenze che concorrono alla realizzazione e alla comunicazione dei progetti innovativi, si pensi proprio alle infrastrutture digitali.

 

C’è un fattore che è il più importante sul quale il paese tutto, dallo stato alle regioni e alle città non può derogare: il primato delle competenze. Va bene sostenere la deroga alle procedure ordinarie, ma il nuovo Ponte di Genova si sta realizzando in tempi record perché è stato individuato quale Commissario Marco Bucci, manager di spessore, che ha scelto fin da primi momenti attraverso una gara pubblica, chi potesse gestire con le metodologie di program/project management l’intero progetto. Le competenze di Bucci, che è anche sindaco di Genova, stanno facendo la differenza. Le persone e non le procedure cambiano le cose. Lo stato, le regioni e le città devono avere il coraggio di coinvolgere le migliori competenze nella Fase 3, altrimenti resteremo a parlare sempre di procedure e mai di come valorizzare le capacità. Elementi che in una fase emergenziale sono importanti, ma negli step successivi diventano fondamentali.


 

Stefano Cianciotta è presidente dell’Osservatorio Infrastrutture di Confassociazioni

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