(foto LaPresse)

Parisi e l'“atto di Dio”

Luciano Capone

La Catalfo vuole liberarsi di Mimmo, ma il “papà dei navigator” resta al suo posto per disegno divino (e di Giggino)

Roma. Alla manifestazione di presentazione dei navigator, quella a metà tra il concerto rock e la convention motivazionale, Mimmo Parisi descrisse così l’incontro con l’uomo che lo ha messo al vertice dell’Anpal: “L’incontro con il ministro Di Maio è stato semplicemente un atto di Dio, ha voluto lui che noi ci incontrassimo”. Quelle parole, accolte da tutti con un sorriso sulle labbra, avrebbero dovuto far avvertire un brivido lungo la schiena. Perché nella lingua che Parisi parla meglio l’“act of God”, l’atto di Dio, indica una catastrofe naturale, come un terremoto o una pandemia, di cui nessun essere umano è responsabile (e che ad esempio esonera le compagnie assicurative dal risarcimento danni).

 

In effetti, già pochi mesi dopo quella convention, si sono visti gli effetti dello tsunami Mimmo che si è abbattuto sull’Anpal. Prima che dell’Agenzia nazionale per le politiche attive non resti che un cumulo di macerie, la ministra del Lavoro succeduta a Luigi Di Maio, la grillina Nunzia Catalfo, sta cercando di separare ciò che Dio ha voluto e Giggino ha unito: Parisi e l’Anpal. Ma, al momento, senza risultati.

 

La Catalfo, i cui rapporti con Parisi sono ormai logorati, aveva fatto inserire nel “decreto Aprile” una norma che trasferisce al ministero le competenze e le risorse dell’Anpal sui programmi del Fondo sociale europeo. Di fatto vuol dire azzoppare l’Agenzia, mutilarla di una funzione fondamentale. Parisi, in una lettera ai dipendenti, ha scritto di non “essere minimamente al corrente” della decisione della Catalfo: “Non sono favorevole alla modifica, perché comprometterebbe in maniera definitiva l’attuazione del Piano industriale”, ha aggiunto. 

 

Il professore del Mississippi si è rivolto a chi sta più in alto, ha fatto valere il suo legame divino con Luigi Di Maio, e la ministra Catalfo è stata costretta, ancora una volta, a fare marcia indietro e a ritirare la norma sull’Anpal. Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole.

 

Naturalmente la rottura dei rapporti tra il ministro e il “padre dei navigator” non risolve alcun problema, anzi lascia un tema fondamentale per la ripartenza e il mondo del lavoro come le politiche attive in una situazione a metà tra lo stallo e lo sbando. Il piano industriale, citato proprio da Parisi nella lettera ai dipendenti dell’Anpal, non esiste. Come raccontato su questo giornale, per ben due volte, il consiglio di amministrazione dell’Agenzia si è rifiutato di approvare il piano triennale 2020-2022 redatto dal professore. Il rappresentante del ministero del Lavoro e quello delle Regioni, che insieme a Parisi compongono il cda di Anpal, una prima volta hanno rinviato il voto sul Piano industriale e una seconda volta hanno rinviato il cda che avrebbe dovuto approvare il piano. Le regioni continuano a essere scettiche sul piano. E la volontà del ministro Catalfo di smembrare l’Anpal inglobandone un pezzo è già un’indicazione abbastanza chiara della sfiducia in Parisi e nel suo piano industriale, che senza le competenze sui Fondi europei non avrebbe alcun senso. Lo showdown, pertanto, potrebbe arrivare con una bocciatura in cda anche se il ministro Catalfo, al momento, non sembra avere la forza di andare fino in fondo. E in questo senso rischia di uscire sconfitta dal braccio di ferro con Parisi, che già durante un’audizione parlamentare l’ha accusata pubblicamente di “ingerenza” negli affari dell’Anpal. Il ministro ha risposto all’accusa con un comunicato privo di conseguenze. Il conflitto è proseguito sul tema dei rimborsi spese di Parisi che, da amministratore unico di Anpal Servizi, si è scritto in maniera unilaterale un regolamento che gli ha consentito di viaggiare in business class a carico della società con una spesa annua che va dai 40 mila euro (secondo Parisi) ai 70 mila euro (secondo un’interrogazione del Pd). Parisi non ha mai rendicontato tutte le spese, ma si è giustificato che lui viaggia in business class “non per lusso, ma per salute. Ho il mal di schiena”.

 

Secondo il ministero del Lavoro il regolamento con cui Parisi si è riconosciuto “tipologie di spese sensibilmente più ampie” sarebbe illegittimo: la norma non è “idonea né capace di produrre effetti”. Anche in questo caso, il professore venuto dal Mississippi in missione per conto di Dio a far comprare un’app al governo italiano, se n’è infischiato. E ha risposto che il regolamento che i è scritto è “pienamente valido”, aggiungendo che il ministero del Lavoro deve farsi gli affari suoi visto che questo tipo di richieste sono “un tentativo di travalicare ulteriormente i confini del proprio ruolo di vigilanza”.

 

Visto il tenore delle risposte di Parisi, il ministro Catalfo esce completamente delegittimata, impotente e incapace di esercitare il proprio ruolo. Ed è inspiegabile come Parisi riesca a stare al suo posto senza un piano, senza la fiducia del ministro, del cda e anche dei lavoratori. Deve essere anche questo un “atto di Dio”. Una catastrofe.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali