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Le manovre per il governissimo s'infrangono sul portone del Quirinale

Salvatore Merlo

Bonafede non basta a scardinare Conte. Il Pd riformista si agita, Renzi ci prova, ora c’è chi spera che si indebolisca Zingaretti

Roma. Assecondando l’idea che l’attuale non sia il migliore dei governi possibili, ma tuttavia sia l’unico possibile nelle condizioni date, ecco che il presidente della Repubblica ha da tempo fatto capire che si accontenta di un risultato che si potrebbe riassumere nella formula “contenimento dei danni”. Ovvero ottenere il massimo della normalità e il minimo delle stupidaggini (risultato non sempre raggiunto) da una classe politica parlamentare che gli italiani hanno in gran parte selezionato, alle elezioni del 2018, tra vaffanculisti, emarginati, semianalfabeti e no euro. Così il presidente ha assunto il ruolo di contrafforte di un’architettura che probabilmente egli stesso considera tanto stramba quanto fragile, al punto da essersi spinto, nei giorni scorsi, a utilizzare la minaccia definitiva contro tutti quei movimenti, più o meno velleitari, che pure sono cominciati intorno al periclitante trono di Giuseppe Conte: l’unica alternativa a questo governo sono le elezioni anticipate. Parole che aveva già pronunciato sul Foglio il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, e che giovedì ha ripetuto anche il segretario del Pd Nicola Zingaretti. I destinatari sono molteplici. Intanto nello stesso Pd, dove nei gruppi parlamentari, lì dove è maggioritaria l’area riformista, si parla spesso e volentieri di un nuovo governo. E poi in Italia viva, dove Matteo Renzi anima una fronda esplicitamente critica nei confronti del presidente del Consiglio, che lo spinge a ritessere gli antichi fili del patto del Nazareno con Gianni Letta. Ma quello del Quirinale potrebbe essere un contrafforte retrattile, che si innalza come una diga a difesa di Conte solo finché il presidente avrà l’impressione che queste manovre siano sospese tra propaganda e pericoloso velleitarismo. 

 

Gli scafati teorici del governissimo un po’ sorridono della minaccia di elezioni anticipate, alla quale oppongono sarcastici ragionamenti che suonano all’incirca così: “Quindi l’Italia sarebbe un paese in cui si rimandano le elezioni regionali causa Covid ma non le elezioni politiche. Paese strano assai”. E poi aggiungono: “Queste sono minacce buone per i grillini”, cioè praticamente per gli allocchi. D’altra parte, proprio perché le elezioni anticipate sono da sempre il terrore di qualsiasi Parlamento, il ragionamento viene ribaltato: tanta sarebbe la paura delle elezioni che, in caso di crisi di governo, una maggioranza la si ricomporrebbe subito. Ed è a questo punto che vengono indicati i banchi di Forza Italia, che in caso di elezioni vedrebbe decimati i suoi rappresentanti, ma vengono anche indicati i banchi del Movimento cinque stelle, partito che ha già conquistato il record di fuoriusciti e cambi di casacca. E che, in caso di necessità, come dice un vecchio senatore dall’aria provvida d’esperienza “sarebbe un serbatoio per qualsiasi (e sottolineo qualsiasi) operazione parlamentare”. Ma il problema dei congiurati è che la maggioranza tiene. E i vari (e fin qui disordinati) tentativi di scardinarla, per esempio utilizzando la manifesta inadeguatezza del ministro Alfonso Bonafede e i suoi pasticci con le carceri, lì dove si è infilato giovedì anche Matteo Salvini annunciando una mozione di sfiducia individuale nei confronti del ministro della Giustizia, sono stati respinti dal Quirinale. Mattarella non ha solo fatto passare il messaggio minaccioso delle elezioni anticipate, ma ha utilizzato anche argomenti persuasivi nei confronti di un personale politico più attrezzato di quello grillino: è intervenuto sugli uomini che hanno peso nel gruppo parlamentare del Pd, nella corrente maggioritaria chiamata Base riformista, a cominciare dai capigruppo di Camera e Senato, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, che forse qualcosa su Bonafede l’avrebbero voluta dire. Nemmeno Renzi sembra infatti troppo convinto che il cambio di governo passi dalla rimozione di Bonafede, tanto è vero che, pur alludendo all’ipotesi di sfiduciare il ministro, giovedì sera ha mandato i suoi colonnelli a parlare lungamente con Conte. Potere del Colle, anche.

 

E allora, poiché il Quirinale è evidentemente un ostacolo inaggirabile, un portone blindato dalla Costituzione e dai corazzieri, ma è anche un’istituzione capace di prendere atto di eventuali novità nel quadro politico parlamentare e dunque di riadattarsi, ecco che le speranze dei sostenitori del “coup” adesso si concentrano un po’ ottimisticamente sulle nubi che dalla regione Lazio potrebbero addensarsi sulla testa di Nicola Zingaretti, presidente della regione e segretario del partito.

 

Finché il Pd sarà dentro un trend di crescita elettorale, il segretario è saldo. E con lui anche l’attuale equilibrio di governo di cui è contrafforte assieme al Quirinale. Ma se la perniciosa vicenda delle mascherine antivirus pagate in anticipo dalla regione Lazio e mai arrivate – storia in cui Zingaretti ha spiegato di essere vittima – dovesse esplodere rivelando compromissioni di uomini a lui vicini, come sostenuto dalle “Iene”, ecco che forse le cose potrebbero anche modificarsi. E l’andamento dei sondaggi invertirsi. Un pezzo del Pd, si sa, vuole cambiare governo anche per cambiare assetto nel partito, ma è anche vero che finché non si cambia assetto nel partito non si cambia nemmeno il governo. Solo una crisi della leadership del Pd, pensano, aprirebbe spazio di manovra per defenestrare Conte e far entrare Forza Italia. Ma si tratta ancora di alchimie e contorsioni in un momento estremamente complicato sotto il profilo delle decisioni di politica economica (ed europea) che devono essere prese. Ragione per la quale Mattarella non lascia aperto nemmeno uno spiraglio. Non è il migliore governo immaginabile, ma forse è l’unico possibile.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.