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Le regionali a luglio e il pericolo del voto balneare

Augusto Romano

I governatori spingono per votare in estate. Il costituzionalista Pisicchio: “Sarebbe una bestialità. Si rischia un abbassamento del livello di partecipazione tale da mettere in crisi il valore della rappresentanza”

Pino Pisicchio è uomo d’esperienza istituzionale, sottosegretario a soli 32 anni, nella Prima Repubblica, quando ci volevano le preferenze, quelle vere, per contare, poi segretario di partito, presidente di commissione, di gruppo parlamentare, e politologo e costituzionalista influente. Tante volte parlamentare ed europarlamentare, fino a quando, nel 2018, ha preferito non ricandidarsi. Oggi è tornato alla carriera universitaria, insegna alla Unint, ed è stato tra i “saggi” interpellati dal presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera Giuseppe Brescia sul voto a distanza. Pur con il suo stile colto e pacato, non le manda a dire. E per lui far votare per le regionali a luglio sarebbe una “bestialità”. E per quale motivo professor Pisicchio? “Perché evidentemente siamo di fronte alla certezza di una riduzione della partecipazione al voto così drastica da collocarsi addirittura molto al di sotto del cinquanta per cento degli aventi diritto. Abbiamo la concomitanza di due situazioni: saremmo in estate, periodo poco indicato per mandare la gente a scrivere un nome in cabina elettorale, a meno che non si tratti della cabina di uno stabilimento balneare; e ci troveremmo in coda – speriamo – di coronavirus e tuttavia ancora all’interno di questa terribile esperienza”. Considerazioni condivise da molti tecnici e politici, ma i presidenti di regione, tutti in scadenza tra maggio e giugno, sono orientati per chiudere questo stato di sospensione ed andare quanto prima al voto.

 

Lei è un fine costituzionalista, non hanno ragione? “Hanno ragione quando affermano che la legislatura ha compiuto il suo ciclo, non c’è dubbio, tuttavia dobbiamo porci una domanda: la partecipazione al voto è un valore costituzionale?”. Una domanda retorica evidentemente, perché secondo Pisicchio “è strettamente correlata alla rappresentanza e quindi al significato che questa ha nel processo elettorale. È evidente che se rendiamo possibile la partecipazione più alta al voto, secondo l’art. 48 della Costituzione, rafforziamo il significato della rappresentanza”.

 

Il ragionamento, dunque, è chiaro: meglio aspettare ottobre o almeno settembre, ad emergenza placata e senza ansie vacanziere, piuttosto che votare in piena estate. Il problema, posticipando il voto, sarebbe il vuoto di potere che ne deriverebbe, con presidenti, governi e consigli regionali delegittimati e non in grado di prendere alcuna decisione, se non per l’ordinaria amministrazione. Ma il professore barese, dissente da questa visione perché secondo lui c’è un principio generale di “prorogatio” che consentirebbe serenamente di aspettare e votare dopo un mese e mezzo o due mesi: “Non si parla di un tempo illimitato o di un reinsediamento per una nuova legislatura, per carità!”.  

 

Pino Pisicchio non è preoccupato solo dal “quando”, ma anche dal “come”, perché circola insistentemente in questi ultimi giorni la voce di un intervento nazionale che orienterebbe le legislazioni regionali in modo da favorire le liste bloccate. “Il ragionamento – spiega Pisicchio – sarebbe più o meno questo: siccome non ci sarebbe modo di fare una campagna elettorale tradizionale, e non ci sarebbe neanche tempo, per la verità, si semplificherebbe con l’introduzione delle liste bloccate, come per il Parlamento. Avremmo non solo un abbassamento del livello di partecipazione tale da mettere in crisi il valore della rappresentanza, ma si aggiungerebbe l’aggravante dell’impossibilità di scegliere i candidati da parte degli elettori”.

Morale della favola: assisteremmo alle prime elezioni democratiche della storia senza popolo. E lo dice Pisicchio, non Esopo.

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