Bonafede. Vita, opere e macelli d'un ministro intoccabile
Bonafede ne ha combinate troppe, eppure è inamovibile. Breve riepilogo d’una ascesa che sfida logica e fisica
Roma. Il suo primo successo fu portare nel 2017 Luca Lanzalone alla corte dei miracoli di Virginia Raggi. Lo fece diventare l’uomo più potente di Roma, e quello, sconosciuto avvocato improvvisamente proiettato sul proscenio girevole del Campidoglio, finì in carcere per corruzione, con l’accusa di aver preso soldi per favorire la costruzione dello stadio della Roma. Poi Alfonso Bonafede è diventato ministro della Giustizia. E da quel momento ha arricchito considerevolmente di perle il collier dei suoi successi. Uno scrigno delle meraviglie. In principio fu la ben nota legge Spazzacorrotti, “scritta così male che rischia di alimentare la corruzione” disse Raffaele Cantone, e infatti ben presto dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Consulta dopo che anche l’avvocatura dello stato, tra sarcasmo e svenimenti, ne aveva chiesto la disapplicazione. A quel punto venne anche la cosiddetta riforma della prescrizione, “uno strabismo legislativo” (Gherardo Colombo), “una mostruosità” (Carlo Nordio), “non ci sarebbe niente di male se il ministro dicesse scusate ho sbagliato” (Edmondo Bruti Liberati). Fino a oggi. Scarcera tre boss della mafia, ovviamente se ne accorgono tutti, e allora lui cerca di rimettere il dentifricio nel tubetto: adesso li arrestiamo di nuovo.
Nel Pd c’è chi ride (“ma dove l’abbiamo preso?”, Alessandro Maran) e c’è chi s’incazza (“questo ci fa rimpiangere Di Maio”, Matteo Orfini), ma Alfonso Bonafede fa spallucce, e con un’esibizione di comica sfrontatezza e di goffaggine politica adesso riproduce la classica, vecchia, arcinota difesa minchioneggiante del “non sapevo nulla”. E infatti, l’altro giorno in Parlamento, lo stesso ministro che a sua insaputa ha scarcerato tre boss mafiosi, adesso condanna, si scandalizza, non permetterà… Ed è forse questo il destino dei Cinque stelle, questa la loro ultima spiaggia: provocare una soffocata ilarità pur di evitare l’indignazione, pur di non fare autocritica, di non ammettere l’inadeguatezza e pagare di persona. D’altra parte è dotato di una corazza ignifuga, Bonafede, il Guardasigilli che non conosce la differenza tra “colpa” e “dolo”, l’avvocatuzzo nativo di Mazara del Vallo che confonde il “41 bis” con il “416 bis”, e che pure non fa mai una piega. Sordo a ogni scetticismo, superiore a ogni ironia, insensibile ai consigli di chi ha studiato veramente, quest’uomo fattosi ministro per irripetibile coincidenza astrale è politicamente un intoccabile – e lo sa – nell’architettura che regge il governo. E infatti, baroncino di questa incongrua casta d’inadeguati, come s’era fatto largo tra i grillini di Firenze, città nella quale studicchiava, perché un po’ amico di Beppe Grillo, adesso Bonafede si è da tempo installato al centro della maggioranza riuscendo pure a diventare capo delegazione del M5s perché amico di Giuseppe Conte, perché fu proprio lui a portare il presidente del Consiglio a Roma, a presentarlo a Luigi Di Maio aprendo così l’indimenticabile stagione del “cambiamento” e del governo con la Lega. Così la mozione di sfiducia individuale che Matteo Salvini gli vuole ora scagliare addosso è già come se fosse stata respinta, malgrado la saggezza delle vecchie volpi del Pd consigli di rinviarla il più possibile mentre la patetica arroganza dei grillini vorrebbe invece la si votasse subito per umiliare le opposizioni (e Matteo Renzi). Non passerà, certo. E infatti Bonafede resterà lì dov’è, malgrado tutto, almeno finché dura questo Parlamento e con esso anche l’equivoco grillino, una specie così estinta da dare l’impressione che non sia mai esistita.