Non c'è ripartenza senza una vera riforma del sistema fiscale, dice Marattin
Il deputato di Italia viva: “Conte? Ora il governo usi le poche risorse pubbliche anche per creare ricchezza”
Roma. “Il dato del pil italiano del primo trimestre, leggermente meno negativo rispetto a Francia e Spagna, aveva illuso qualcuno. Purtroppo ora è chiaro a tutti che questa crisi sarà per noi più grave rispetto agli altri paesi europei”. Luigi Marattin, economista e già consigliere economico di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, oggi parlamentare di Italia Viva, commenta con il Foglio le cifre giunte ieri che assegnano all’Italia il peggior crollo della produzione industriale, meno 28,4 per cento, della zona euro. Oltre il doppio della media (11,3), soprattutto raffrontato a Francia (16,2) e Germania (9,2), nostri primi partner commerciali.
“Per evitare ulteriori danni occorre evitare di disperdere risorse in mille rivoli assistenziali. E bisogna intervenire con decisione a favore del lavoro e della produzione. Tagli fiscali, noi abbiamo chiesto e ottenuto la cancellazione della rata Irap di giugno; piano shock di investimenti pubblici. E cogliere l’occasione per un’opera senza precedenti di semplificazione dello Stato e della macchina pubblica”.
Ad aprile il lockdown è stato ancora più stringente; altrove si è però dato modo alla manifattura di ripartire. Abbiamo sbagliato? “Purtroppo è la tipica situazione in cui sai se hai fatto bene o sbagliato solo a cose fatte. Nessuno infatti può dire cosa sarebbe successo se avessimo applicato in Italia, che ha avuto prima di altri un contagio molto forte e localizzato, un modello più permissivo. Quello che però ragionevolmente si può dire è che ora che il contagio è fortemente rallentato dobbiamo riaccendere la nostra economia garantendo nel contempo sia le condizioni di sicurezza, sia preparando nei dettagli il piano di emergenza nell’ipotesi malaugurata di una seconda ondata, in modo da contenerne l’impatto”.
Visti i dati degli altri, ci stiamo mangiando quel minimo vantaggio competitivo di aver chiuso prima, magari per riaprire prima? “Indubbiamente uno dei rischi più grandi che corriamo è erodere le nostre quote di mercato sia europeo che mondiale, andando così a indebolire quel 20 per cento della nostra struttura industriale che compete con successo sui mercati internazionali”. Si sta ingenerando in Italia l’idea che questo paese possa cavarsela vivendo sotto la tutela pubblica? “Intendiamoci, una risposta di ‘scudo’ immediato era necessaria, ed è stata adottata ovunque. Lo stesso Mario Draghi ci ha ricordato che in questa fase il ruolo delle risorse pubbliche è innanzitutto quello di sostituirsi, almeno parzialmente, al calo delle risorse private. Poi possiamo discutere sulle proporzioni. Non è un mistero che noi di Italia Viva avremmo gradito giocare un po’ più in attacco e un po’ meno in difesa. Ma la verità è che il nostro campo da gioco è più corto rispetto agli altri: lo spazio fiscale con cui siamo entrati nella crisi è enormemente più basso rispetto agli altri paesi. La Germania dal 2012 ad oggi ha ridotto il debito pubblico di 20 punti. Da noi se ti azzardavi a non aumentarlo, come ha fatto il governo Renzi, ti accusavano di essere un servo delle banche e dei mercati cattivi”.
La produzione italiana, come quella tedesca, stagnava da mesi. E talvolta le crisi possano essere volte in opportunità. Che cosa occorrerebbe? “Sfruttare questi tempi impensabili per fare tutte quello che nei decenni scorsi abbiamo sempre scartato. Rifare daccapo il sistema fiscale, riformare dalle radici il diritto amministrativo, approfittare di questi mesi in cui siamo adattati alle nuove tecnologie per una digitalizzazione della macchina pubblica, ripensare sia il sistema istituzionale che il modo in cui stanno insieme i livelli di governo. E orientare le risorse pubbliche verso la produzione di reddito e non solo la sua redistribuzione. Veniamo da dieci anni, forse anche di più, in cui si accusa la classe politica di non saper far nulla, le si chiede di ridursi gli stipendi e di limitarsi a dire alla gente quello che la gente vuol sentirsi dire. Valori come merito, competenza e visione di lungo periodo sono diventati tossici. E i risultati si sono visti. La cosa più importante che possiamo imparare dalla crisi è rinsavire da questa tendenza”.