Una volta risolto il tema della sfiducia, dove per sfiducia in questo caso si intende la sessione di mozioni presentate ieri al Senato contro il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, tutte respinte, il governo italiano avrà il dovere nelle prossime settimane di occuparsi di un altro aspetto della parola fiducia. Un aspetto che non ha a che fare con i numeri della maggioranza in Parlamento – la maggioranza c’è, i numeri ci sono, l’equilibrio è meno precario di quello che si potrebbe credere, almeno per il momento – ma che ha a che fare con numeri persino più importanti: quelli dell’Italia. Fiducia, in questo caso, significa molto semplicemente fare tutto ciò che è necessario fare, whatever it takes, per evitare che un paese come l’Italia, il cui debito pubblico promette di arrivare oltre il 160 per cento nel rapporto deficit/pil entro la fine dell’anno, la cui disoccupazione promette di passare dal 9,8 per cento al 15 per cento entro la fine dell’anno e il cui prodotto interno lordo promette di crollare di 9,5 punti percentuali sempre entro la fine dell’anno, possa collassare su se stesso. In una fase straordinaria occorrono misure, progetti e proposte non ordinarie e su questi temi ieri pomeriggio il Foglio ha conversato a lungo con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. E il presidente Conte, senza rinunciare in alcuni passaggi alla tradizionale pratica dello slalom gigante, ha accettato di parlare di tutto: dal modello Genova, alla riforma del fisco, dal caso Fca ai guai sulla giustizia, dal Recovery fund al Mes, dal futuro della maggioranza alla sfida per una burocrazia più efficiente.
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