Roma. Un partito, una confederazione di correnti sospesa ai blocchi di partenza, dove ciascuno mima la lotta congressuale ben sapendo però che il congresso non è alle viste, anzi, come dice uno dei più importanti ex ministri, “non se ne deve nemmeno parlare. E il primo che ne parla viene crocifisso”. Ecco come si presenta il Pd, agli occhi dei suoi stessi dirigenti, sotto la guida morbida e notarile di Nicola Zingaretti, il segretario la cui forza deriva dalla capacità di mediazione e dall’aver trasformato l’unità del partito in un fine, non in un mezzo per fare politica. E infatti Zingaretti non dice mai nulla, è un garante, mentre altri, Andrea Orlando e Stefano Bonaccini, soprattutto, si allenano e si posizionano, in attesa di qualcosa che prima o poi dovrà accadere: la caduta del governo, le elezioni, il congresso. O tutte queste cose insieme.
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