Tra urla, antieuropeismo, fake news e contrordini nel lockdown i giornali di destra non hanno inciso. Come la destra
Milano. L’immagine che meglio di altre sintetizza il ruolo, e l’impasse, della stampa della destra populista nella stagione della pandemia – con i suoi toni sovreccitati in favore di “popolo” e la sua scarsa incisività nelle questioni che contano – non è un titolo di giornale: è un video di Matteo Salvini rubato a metà aprile. Quello in cui si affaccia alla finestra per un improvvisato comizio nell’èra dei balconi, fa per iniziare “le imprese italiane…” e si sente da un’altra finestra un milanese che grida: “Matteo, sono stronzate”. Salvini zittito alla finestra è simbolico per più motivi. Il primo è il populismo spiaggiato sul suo terreno più congeniale, la comunicazione senza filtro dei social media. Il secondo è che l’inciampo avviene sul binomio imprese-stronzate: dalla destra anti tutto (anti europea in primis) non sono pervenute in questi mesi ricette economiche, al massimo l’urlo per il paese che muore ma muore orgogliosamente sovranista (la Verità: “Basta con la logica dell’elemosina - L’Italia può farcela da sola”). Il terzo è che, in questi quasi tre mesi, tutta la performance politica dei giornali (e programmi tv) di riferimento della destra ha oscillato tra forzature spesso contraddittorie e scarsa incidenza. Quel che risuona è il metodo épater la bourgeoisie, o più che altro lisciare il proprio pubblico dal verso che preferisce. Il titolo che rimarrà nella storia italiana della pandemia giornalistica, per becerume, è quello di Libero, 6 maggio: “In Italia 30 mila morti rimpiazzati da 600 mila immigrati”. Un chiodo fisso.
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