Roma. Nel Pd ieri hanno molto incuriosito le parole di Dario Franceschini, tornato a parlare di alleanza “permanente” con il Movimento cinque stelle. E non per il contenuto. D’altra parte Franceschini queste cose le dice con una certa coerenza sin dall’inizio del governo rossogiallo. Ma per la scelta dei tempi. Da mesi, infatti, il ministro, capocorrente e capo delegazione del Pd al governo, aveva assunto un atteggiamento cauto, silenzioso, appena incrinato da poche centellinate parole sempre lontane dalla politica e piuttosto dedicate al suo lavoro al ministero della Cultura. Prudenza. Giustificata, secondo alcuni, da un quadro politico fragile, incerto, sottoposto a troppe variabili. E allora cos’è cambiato adesso, improvvisamente? Si avvicinano le amministrative di settembre, prova a indovinare qualcuno. Mentre altri, addirittura, sostengono che Franceschini sia caduto in una piccola trappola giornalistica. Chissà. Resta il fatto che il progetto di Franceschini, quello di un’alleanza “permanente”, che ieri mattina ha trovato l’appoggio di Enrico Letta dai microfoni di Radio Capital, ha un fine riconosciuto e “permanente” nella testa di Franceschini stesso: il Quirinale. Per sé, in prima battuta, o per un altro membro del Pd in alternativa. Tuttavia ci sono delle tappe, delle scadenze complicate attraverso cui questo accordo deve passare, prima di giungere all’agognato approdo delle elezioni per il capo dello stato. Intanto, soprattutto, le elezioni di settembre.
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