Vaccini contro i teorici della rivolta sociale
La ricchezza netta molto alta. Il debito delle famiglie tra i più bassi d’Europa. Le imprese più solide del previsto. Oltre al pil che crolla c’è di più e c’è un paese più forte di come viene descritto. Studiare Visco per rispondere con ottimismo ai teorici dell’apocalisse
L’ultima affascinante frontiera coccolata dai teorici dell’apocalisse imminente è legata all’evocazione di quattro paroline magiche che da qualche tempo a questa parte fanno capolino sempre più spesso sulle prime pagine dei giornali: “Rischio di rivolta sociale”. Il rischio di rivolta sociale è uno scenario che i teorici dell’apocalisse tendono a evocare, senza nascondere in alcuni casi anche una certa fanciullesca eccitazione per la possibilità che l’Italia sia invasa dal partito dei forconi, sulla base di un presupposto che più che a un giudizio somiglia a un pregiudizio: l’evidente impossibilità per un paese come l’Italia di saper reagire alla crisi innescata dal contenimento del coronavirus.
Nando Pagnoncelli, sondaggista a capo di Ipsos, qualche giorno fa involontariamente ha offerto ai teorici dell’apocalisse qualche elemento ulteriore per speculare sul rischio del collasso italiano e ha segnalato che secondo le sue rilevazioni il 63 per cento degli italiani è convinto che i sentimenti di rabbia e divisione ostacoleranno l’uscita dell’Italia dalla crisi economica. Il giorno dopo, sulla Stampa, il sociologo Marzio Barbagli ha lanciato un severo appello (“la rabbia sociale rischia di esplodere”) e lo stesso hanno fatto il leghista Giancarlo Giorgetti (“politici state attenti, il paese esplode”), il sindaco di Bari Antonio Decaro (“il fuoco della rabbia sociale cova sotto la cenere”) e il leader della Cgil Maurizio Landini (“temo la rabbia sociale”).
Il popolo degli apocalittici convinto che l’Italia stia per varcare la soglia del collasso permanente è ricco e variegato e ha buone ragioni per essere preoccupato. Ma se quel popolo avesse voglia di mettere per un attimo da parte le comprensibili paure per il futuro e concentrarsi per un attimo sulle opportunità del presente dovrebbe dedicare qualche minuto ad alcuni passaggi contenuti nella relazione annuale presentata ieri dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco. Molti giornali oggi vi daranno conto della relazione evidenziando quasi esclusivamente le parole allarmate messe insieme da Visco che ha previsto un crollo del pil nel 2020 compreso in una forbice tra il 9 e il 13 per cento, una ripresa che sarà molto lenta e un periodo di transizione in cui potrà ridursi ancora di più l’occupazione, in cui potranno aumentare le famiglie che non riusciranno a mantenere uno standard di vita accettabile e in cui, ammette lo stesso Visco, potrà crescere anche il disagio sociale. Ciò che però verrà probabilmente nascosto dai professionisti del bicchiere mezzo vuoto è tutta la parte della relazione dedicata all’ottimismo per il futuro e alla possibilità che il nostro paese sappia partire dai suoi punti di forza per trasformare il dramma che stiamo vivendo in una grande opportunità di crescita.
La crisi, è la tesi di Visco, potrebbe essere un grande acceleratore del futuro e in questo futuro l’Italia deve avere chiaro non solo quali sono i suoi punti di debolezza ma soprattutto quali sono i suoi punti di forza. Grazie al recupero di competitività delle nostre esportazioni e ai forti avanzi commerciali registrati dal 2012, per esempio, la posizione netta sull’estero dell’Italia ha raggiunto un sostanziale equilibrio. Le condizioni finanziarie delle banche e delle imprese, ha ricordato Visco, sono migliori oggi rispetto allo scenario del 2007. La ricchezza netta, reale e finanziaria, delle famiglie italiane è ancora oggi molto elevata: 8,1 volte il reddito disponibile contro 7,3 nella media dell’area dell’euro. Il debito delle famiglie è basso nel confronto internazionale ed è concentrato presso i nuclei con una maggiore capacità di sopportarne gli oneri (a fine 2019, ha ricordato Visco, ammontava a poco meno del 62 per cento del loro reddito disponibile, contro il 95 nella media dell’area dell’euro, il 96 negli Stati Uniti e il 124 nel Regno Unito). Alla fine del 2019, ancora, il debito delle imprese era pari al 68 per cento del pil, contro il 108 dell’area euro. Nel complesso del settore privato, ha aggiunto il governatore, il debito era pari al 110 per cento del pil, oltre 50 punti in meno del valore medio dell’area dell’euro. Risalire sarà dura, ovvio, ma per risalire e rendere sostenibile un debito pubblico destinato ad aumentare fino al 156 per cento del rapporto deficit/pil l’Italia, dice ancora Visco, avrebbe bisogno di riportare la dinamica del prodotto intorno all’1,5 per cento, il valore medio annuo registrato nei dieci anni precedenti alla crisi finanziaria globale, e per farlo non servirà scalare le montagne ma servirà semplicemente un incremento medio della produttività del lavoro di poco meno di un punto percentuale all’anno. E con un tasso di crescita dell’economia compreso tra l’uno e il due per cento, stima il governatore, un avanzo primario della misura indicata sarebbe sufficiente per ridurre il peso del debito sul prodotto di circa due punti percentuali in media all’anno. L’incertezza può mettere i brividi, può far tremare le vene, può creare panico, può creare disagio, può creare malessere. Ma l’Italia è un paese più forte rispetto a come spesso ce lo raffiguriamo. E guardare il bicchiere mezzo pieno oggi può essere difficile ma resta un modo utile per ragionare sul futuro senza giocare a fare i piromani e senza dimenticarsi che quando un paese va in crisi avere fiducia nel futuro e nelle proprie capacità è l’unico modo concreto per provare a rialzarsi.