Alternative a Zinga? La minoranza Pd scommette anche su Bonaccini
L'aver arginato l’ondata di piena leghista che oltrepassato il Rubicone minacciava i palazzi romani, equivaleva a un’investitura più prestigiosa che quella di riconfermato presidente dell'Emilia Romagna
Roma. Che sia stato per calcolo o solo per eccesso di baldanza, sta di fatto che ad agitare le acque del partito, è stato proprio colui che le vorrebbe quiete: e cioè Nicola Zingaretti. Il quale lunedì, al termine di una relazione senza grossi acuti in apertura della direzione nazionale del Pd, s’è lasciato andare a un’allusione velenosa alquanto. Ce l’aveva, il segretario, con “quei gruppi che si riuniscono non perché condividano una leadership, ma perché non riescono a produrne una migliore”. Ce l’aveva, insomma, con Base riformista, il correntone guidato da Luca Lotti e Lorenzo Guerini che raccoglie quei “diversamente renziani” che non hanno però seguito l’ex premier sulla via della scissione. E di certo la frecciata di Zingaretti ha colpito nel segno, se subito la delegazione di Br ha deciso di ritirare tutti i suoi interventi previsti, lasciando che fosse il solo Alessandro Alfieri, gueriniano di ferro, a portare la voce dei delusi: “Unità va a braccetto con pluralismo”, ha detto il senatore lombardo, aggiungendo: “Ora iniziamo la fase 2 anche nel partito: serve condivisione sulle scelte di fondo. E vale anche per l’assemblea di luglio”. Il riferimento è al grande evento di confronto che Zingaretti, scacciando via l’idea di un congresso vero e proprio, ha annunciato per l’estate.
Un appuntamento a cui i riformisti del Pd vogliono arrivare pronti e, manco a dirlo, “con una leadership chiara”. E tutti i conciliaboli di queste ore precipitano sul nome di Stefano Bonaccini. Candidatura annunciata, si dirà: e che però andrà costruita fino in fondo, con tutti i riti del caso, perfino quelli che più si portano in questi tempi di politica un po’ frivola. Segnali, certo, che però segneranno una svolta nella paventata ascesa del “Bonaccia” al vertice del Nazareno. Così s’è deciso, tra le altre cose, che prima di luglio il presidente dell’Emilia verrà affiancato da qualche ministro e qualche grosso calibro del Pd, e di Br in particolare, nella presentazione del suo libro: quel volume un po’ autocelebrativo di chi comunque, va detto, può permettersi di spiegare che “La destra si può battere”.
E d’altronde si sapeva che l’aver respinto la cavalcata trionfale di Matteo Salvini, l’aver arginato l’ondata di piena leghista che oltrepassato il Rubicone, a fine gennaio, minacciava i palazzi romani, equivaleva per Bonaccini, questo bravo amministratore re-inventatosi icona quasi hipster della politica, a un’investitura più prestigiosa che quella di riconfermato presidente della sua regione. E forse, dice chi lo sostiene, se ne era accorto subito anche Zingaretti, che il percorso era segnato, se è vero che subito ha provato, se non altro, a renderglielo accidentato. Così ad esempio si spiegherebbe il perché, a nemmeno un mese dal trionfo di Bonaccini, il segretario ha scelto, come presidente del Pd, quella Valentina Cuppi sconosciuta (ai più) sindaca di Marzabotto, che al Pd fino ad allora neppure era iscritta e che soprattutto era un po’ troppo a sinistra e un po’ troppo vicina a Bologna perché la sua promozione non apparisse a Bonaccini come un qualcosa di prossimo allo sgarbo. Avrebbe reagito, fosse stato per lui: ma poi il Covid ha messo in ghiaccio la politica e le sue baruffe. Ora, però, “è il momento di agire”, vanno ripetendo dentro Br. Ben sapendo, peraltro, che le dinamiche dentro il Pd avranno ripercussioni anche sugli equilibri di governo, perché una leadership di Bonaccini la si costruirebbe proprio sulla critica crescente al crescente appiattimento dei dem sul M5s e Giuseppe Conte. Che non a caso, quasi fiutando l’aria, pare abbia ripreso a porre ai suoi interlocutori una domanda che da qualche tempo non faceva: “Ma davvero Guerini sta pensando di sostituirmi?”.