Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Conte decide anzi no

Valerio Valentini

Il rinvio del Mes grava sugli Stati generali, il Pd mugugna e Di Maio snobba l’evento su cui punta il premier

Roma. La scena, a quanto pare, s’è riprodotta identica a distanza di poche ore. “Abbiamo avuto lo stesso dubbio”, si sono confidati, tra loro, i delegati del Pd e di Italia viva reduci dall’incontro a Palazzo Chigi. Dove Giuseppe Conte, in rapida successione, ha mostrato quello che ha definito “il master plan”: che poi sono un serie di fogli con titoli essenziali (Infrastrutture, Lavoro, Italia digitale) e spazi bianchi da riempire. “E qui sta il punto: riempire di contenuto quelle slide”, ha mugugnato un po’ perplesso, davanti ai suoi senatori che lo interpellavano, il capogruppo dem Andrea Marcucci. E però qui sta anche il problema del premier: decidere. Questi Stati generali a questo dovrebbero innanzitutto servire. Se non fosse che il decidere, appunto, lo schierarsi, usare un parlare che sia “sì, sì e no, no”, lasciando il di più al maligno, è un qualcosa che Conte può fare solo con molta prudenza. 

 

Forse perfino troppa. E infatti nei giorni che dovrebbero decidere il destino dell’Italia per i prossimi anni, secondo la prosopopea di Palazzo Chigi, molto si dovrà brigare per rimandare, ancora una volta, la scelta che appare la più urgente e la più eterea al contempo: il Mes. E così, tra Camera e Senato s’è già messo in moto tutto un traffico di retrobottega per sminare il dibattito che mercoledì prossimo, alla vigilia del Consiglio europeo, potrebbe infiammarsi. E mentre Pd e Iv concordano sulla necessità di inserire nella risoluzione da votare in Aula un chiaro riferimento ai “quattro pilastri” del pacchetto europeo, e dunque anche al Mes, ecco che Roberto Fico manda subito i suoi emissari a far sapere che in fondo quello del 19 giugno sarà un consiglio informale, e dunque basterà una semplice informativa del premier alle Camere: e dunque niente votazione.

 

Al che Luigi Marattin allarga le braccia: “La prima cosa da fare – dice il deputato renziano – sarebbe una corretta programmazione economico-finanziaria: di quante risorse abbiamo bisogno da qui al 31 dicembre? E quali sono le nostre fonti di finanziamento più convenienti? Solo dopo aver risposto a queste domande dovremmo chiedere – in un’unica soluzione – lo scostamento. E invece attendo ancora che qualcuno mi spieghi perché dobbiamo rifiutare un prestito di 36 mld a costo zero”. Cerca il raziocinio, Marattin, dove il raziocinio non c’è. Tanto che pure tra i ministri del M5s che si sono guadagnati la nomina di contiani, e a cui di solito nel Pd ci si rivolge per dissipare il caos, vige lo stesso refrain di sempre: che col Mes faremmo la fine della Grecia, che le condizionalità “magari non ci sono in entrata, ma ci saranno in uscita”, che insomma di quel prestito non se ne deve proprio parlare. Ma è difficile che Conte possa esimersi dal farlo, per un’intera settimana, davanti a quelli che lui stesso, col piglio del presentatore televisivo che annuncia la scaletta del suo show, definisce “ospiti d’eccezione”.

 

“Vorranno delle risposte, e noi dovremo dargliele”, continua a rimuginare Dario Franceschini. Le vorranno, evidentemente, anche sulla questione della revoca delle concessioni ad Autostrade, e anche sul decreto “Semplificazioni”, che come ogni decreto finalizzato a sbloccare ha finito per bloccarsi. Tant’è che proprio ieri da Palazzo Chigi hanno chiesto ai tecnici del Mit di fornire al premier dei dati esatti sulle infrastrutture da realizzare: e loro, zelanti, glieli hanno forniti, salvo poi darsi di gomito, ché in fondo non erano altro che le tabelle allegate al Def, disponibili dunque già da aprile. “Abbiamo ribadito a Conte che per noi quella è una priorità”, dice il renziano Ettore Rosato. “Ma d’altronde sul piano choc è il Pd a frenare”, si lamentano nel M5s. Dove, comunque, fanno notare che chi, più di tutti, continua a snobbare questi Stati generali, è proprio Luigi Di Maio. E anche Conte deve essersene accorto.