Mettere in lockdown la gnagnera
Gli stati generali sono uno sballo e possono persino mettere in un angolo i professionisti del caos. Ma a una condizione: capire che per entrare nella fase tre occorre usare non solo i soldi dell’Europa, ma anche le sue idee
Il punto in fondo è tutto lì: tifare per il casino o no? Dicono che tutto questo non servirà a nulla, che sarà solo una sceneggiata, che sarà solo una passerella, che sarà solo una pagliacciata, che all’Italia occorre ben altro, che parlare di questi temi non porta a niente e che mai come oggi prendere tempo significa solo perdere tempo e rimandare a data da destinarsi decisioni che invece non andrebbero affatto rimandate. Dicono che gli otto giorni di dialoghi organizzati dal governo, da sabato 13 giugno a domenica 21 giugno a Roma, nel migliore dei casi saranno una cialtronata e nel peggiore dei casi una buffonata, perché in un momento come questo, in cui i soldi per la cassa integrazione continuano a non arrivare come dovrebbero e in cui i prestiti alle imprese continuano a non essere erogati come dovrebbero, bisognerebbe occuparsi meno della teoria e più della pratica.
E’ possibile, a voler cercare il solito pelo nell’uovo e a voler guardare il solito bicchiere mezzo pieno, che i nomi che interverranno a Villa Pamphilj la prossima settimana – la direttrice del Fondo monetario internazionale Kristalina Georgieva, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, la presidente della Bce Christine Lagarde, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, gli economisti Olivier Jean Blanchard e Esther Duflo, e ovviamente il manager Vittorio Colao – possano contribuire ad aumentare la depressione del paese, ad aggravare la crisi economica e a peggiorare le condizioni dell’Italia. Può certamente accadere questo e può certamente essere possibile che mettere insieme voci interessanti possa pesare qualche punto ulteriore di pil sulla decrescita del paese.
Ma se si sceglie di uscire per un attimo dalla modalità della gnagnera e se si accetta di entrare nella modalità delle opportunità da cogliere non si farà fatica a capire che in mezzo a molte incognite c’è una certezza possibile che a certe condizioni potrebbe essere il sunto politico dei contestatissimi Stati generali. Una certezza che potremmo sintetizzare così: per provare a risollevarsi il paese non ha altre strade da imboccare se non quelle che portano dritte in Europa.
Fino a oggi, l’Italia ha dimostrato di essere molto attenta al tema del cosa chiedere all’Europa e allo stato attuale non si può dire che almeno su questo fronte i risultati siano stati negativi. Grazie all’allentamento del Patto di stabilità, il governo ha potuto mettere in campo 75 miliardi di risorse in deficit attraverso due diverse manovre ed è possibile che il governo possa chiedere uno scostamento ulteriore per finanziare il piano di investimenti ormai annunciato da tempo. Grazie alla Bce, e al suo nuovo bazooka chiamato Pepp, un quarto degli acquisti di titoli di stato effettuati a marzo hanno riguardato asset italiani. Grazie al fondo creato contro la disoccupazione, l’Italia potrà spendere fino a un massimo di 20 miliardi di euro per finanziare la cassa integrazione delle imprese in difficoltà. Grazie al fondo stanziato dalla Banca europea degli investimenti, 200 miliardi in tutto a disposizione delle piccole e medie imprese, l’Italia potrebbe avere accesso a una cifra vicina ai 40 miliardi di euro di finanziamento. E grazie al Recovery fund, quando il fondo diventerà realtà, l’Italia, come lamentano diversi lagnosi paesi rigoristi, potrebbe essere il paese europeo a beneficiare della fetta più grande dei 750 miliardi che verranno stanziati: circa 172 miliardi, tra prestiti (90) e sovvenzioni (82).
Il tema del cosa chiedere all’Europa l’Italia lo ha dunque ben chiaro mentre sembra avere molto meno chiaro un tema che in teoria dovrebbe essere legato a doppio filo con il primo e che in fondo è il grande argomento su cui nei prossimi mesi il nostro paese si gioca la sua credibilità: riuscire ad aprire gli occhi anche su ciò che l’Europa ci suggerisce e ci chiede di fare. In questo senso, per sfruttare l’occasione, evitare che la sessione sia solo una perdita di tempo e dimostrare all’opposizione che essere fuori dal dibattito sul futuro significa essere semplicemente fuori dal mondo, il governo dovrebbe scegliere di fare una cosa semplice. Sedersi, fermarsi, ascoltare i suoi interlocutori, selezionare le idee migliori, non trasformare il brain storming in un brain tornado e dimostrare a tutti coloro che soffiano sull’instabilità – e a tutti quelli che sognano una nuova stagione di protagonismo delle procure, che cercano disperatamente di individuare responsabilità penali nelle scelte della politica e che provano in tutti i modi a nascondere le previsioni non catastrofiste e a valorizzare unicamente quelle non catastrofiste – che l’Italia ha ben chiaro che il paese entrerà nella sua fase 3 non solo usando i soldi dell’Europa ma usando anche le sue idee. Burocrazia da snellire, cantieri da sbloccare, digitalizzazione da implementare, innovazione da cavalcare e imprese da sostenere. E con le borse che iniziano a ballare, con lo spread che comincia a risalire e con i mercati che tornano a mugugnare, per l’Italia c’è solo un modo per prendere tempo senza perderne troppo: superare la lunga stagione delle task e mettere finalmente in campo un po’ di force.