Cancellare i decreti sicurezza? Una trappola

Giuliano Ferrara

Sarebbe un modo per prolungare la parabola propagandistica del loro autore e mentore, senza peraltro cambiare le cose né in fatto né in diritto. Evitare

L’amore delle sinistre più radicali e meno riformiste per le trappole è notorio. Un conto è inginocchiarsi durante l’inno nazionale in segno di protesta contro la violazione etica del codice repubblicano, un atto atletico e spirituale di estrema forza simbolica e di profilo statuario, specie se autentico e non imitativo e fuori contesto; un conto è la mescolanza di facce bianche e nere in un movimento di ripulsa della violenza che uccide selezionando l’etnia da colpire; un conto è rovesciare il tavolo delle regole di ingaggio delle polizie, applicando nuove norme definite in conseguenza dei fatti, come ha fatto il governatore di New York: e questo è riformismo, un processo che è innescato e compiuto all’interno di una rivolta morale sacrosanta. Un conto è chiedere l’abolizione della polizia o agitare legge e ordine, in perfetta simmetria con chi imbraccia l’una e l’altro per demolire ogni speranza di giustizia, come nemici della convivenza. C’è da augurarsi che dopo la deriva del saccheggio si consolidi il “momento Biden” ovvero la prospettiva, tra tanti monumenti abbattuti contro la logica della storia e della memoria, che ci si attrezzi per abbattere, ricordandosi del disastro di quattro anni fa, quel monumento all’arroganza, all’impostura e alla violenta vanità che fu eletto presidente degli Stati Uniti nel modo grottesco che sappiamo. E’ l’unico compito utile e chiaro per gli americani che hanno ancora la testa sulle spalle.

  

Si può pensare che lo stesso valga per i famosi decreti sicurezza del senatore Salvini, quando era il Truce, varati come una delle tante cartoline ricattatorie per la presa di un’opinione pubblica debole e umiliata dalla sua stessa ostentata e insincera paura. Si capisce che li si vorrebbe cancellati. Si capisce che in tanti, la buona fede aiutando, ritengano questo un compito politico prioritario. Ma si capisce che può essere anche questa una trappola, un modo per prolungare la parabola propagandistica del loro autore e mentore, senza peraltro cambiare le cose né in fatto né in diritto. Da quando il senatore Salvini è ridotto alla sua vera dimensione di chiacchierone televisivo senza potere, di leader di un’opposizione senza idee e senza una sua vera constituency che gliele fornisca, una coalizione di rinunciatari costretti a rifugiarsi nei social per esistere in politica, mentre altri decidono quello che si deve decidere, i decreti sicurezza sono un flatus vocis, un fantasma, una cosa senza senso e testimonianza d’impotenza anziché di pieni poteri. C’è una sola via per restituire agli strumenti per la chiusura dei porti e la caccia ai neri uno spessore: avviare una battaglia inutile per abrogarli, e riproporre nei termini in cui il Truce li volle i criteri di un conflitto su libertà e ordine nella realtà ampiamente superato, consentendogli di sognare che la sua opera politica buzzurra venga infine compiuta.

 

Non siamo più in regime di autarchia dei confini, è avviato il processo di condivisione dei flussi di immigrazione via mare nel segno di uno sforzo europeo solidale, e su questa strada ci sono ancora accordi e politiche da consolidare. Non è più in atto la caccia verbale e materiale alle organizzazioni di soccorso, la beffa atroce e ridicola contro i taxi del mare e la “zecca tedesca”, l’odio sistematico e da censimento razziale verso immigrati di cui l’economia e lo società scoprono “improvvisamente” di avere bisogno, fino alla predisposizione di una regolarizzazione senza la quale si interrompe la catena del lavoro di raccolta nei campi e del rifornimento alimentare, e altri lavori. Ha più voce il sindacato dei neri di quanta ne abbia avuta il Viminale dei bianchi cosiddetti. All’Interno lavora un prefetto capace, di poche parole, che fa la sua parte. E questi sono progressi politici, da attribuire alla svolta della scorsa estate, alla decisione politica di dissellare il rozzo plenipotenziario dei nostri stivali che pretendeva di fare la sua marcetta su Roma. Rimettere l’orologio o l’agenda delle chiacchiere al tempo del Papeete e delle rodomontate più brutali della combriccola salviniana, concentrandosi su una abrogazione di principio che è un ripristino di fatto, è una di quelle tipiche trappole che un paese serio dovrebbe evitare, invece di caderci.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.