Oltre i soldi. Come diavolo ha fatto l'Italia a non diventare il Venezuela d'Europa
Lo spettacolo dei grillini indignati contro la cultura del sospetto (Maduri e puri!) è l’ultimo capitolo di una grande storia: il populismo che combatte contro ciò che ha seminato. La magia italiana: aver reso l’estremismo incompatibile con la realtà
La notizia riportata ieri dal quotidiano spagnolo Abc relativa al presunto finanziamento da 3,5 milioni di euro che il regime venezuelano avrebbe versato nel 2010 nelle onestissime casse del Movimento 5 stelle tramite il consolato venezuelano di Milano (gasp!) può essere letta e approfondita utilizzando due chiavi di lettura differenti. La prima chiave di lettura, che ci sembra però anche quella decisamente più pigra, è quella che ci porterebbe a evidenziare uno spettacolo spassoso ma tutto sommato poco interessante. Ovverosia, il grande show dei politici (ma)duri e puri che con buona costanza e con discreta regolarità finiscono regolarmente per passare dal banco dei moralizzatori a quello dei moralizzati (per il momento si parla di valigette, ma per le scatole di scarpe c’è sempre tempo). La seconda chiave di lettura, che ci sembra meno pigra, è quella che ci porterebbe a evidenziare uno spettacolo non meno spassoso ma decisamente più interessante. Ovverosia, il grande show del grillismo impegnato con tutte le sue forze a combattere contro ciò che il grillismo ha sciaguratamente seminato nel paese.
Da questo punto di vista, lo spettacolo offerto ieri dal M5s sul caso Venezuela (basta bufale!) non è troppo diverso da quello offerto negli ultimi tempi dal M5s su altri terreni di gioco: l’Europa, le fake news, il movimentismo, il rapporto con gli altri partiti. Il tempo ci dirà se le notizie di Abc hanno o meno fondamento (e già ci immaginiamo oggi le gazzette del grillismo pronte a intervistare i Davigo e associati per alzare solide barriere contro la repubblica della gogna) ma non serve invece altro tempo per poter sorridere di gusto di fronte all’intero plotone d’esecuzione del grillismo schierato contro un’oscenità che negli anni il M5s piuttosto che combattere si è impegnato ad alimentare con cura: la cultura del sospetto.
Vedere i grillini impegnati a combattere contro la cultura del sospetto – che secondo la dottrina Casaleggio coincideva nientepopodimeno che con l’anticamera della verità – è un’emozione seconda solo a quella suscitata dalla creazione di commissioni contro le fake news promosse dallo stesso partito, sempre quello, che in passato aveva educato i propri elettori a credere alle sirene e alle scie chimiche. E allo stesso modo è difficile non sorridere di gusto di fronte al grillismo che combatte contro ciò che il grillismo ha sciaguratamente seminato nel paese anche in un’altra serie di circostanze niente male. Quando vedi il capo politico del M5s (Grillo) mandare a quel paese chi oggi interpreta meglio di chiunque altro il grillismo originario (Dibba). Quando vedi il più rivoluzionario tra i grillini in campo (Dibba) sfidare l’attuale leadership del M5s (il gerarca minore Crimi) proponendo di eleggere il nuovo leader del M5s non attraverso il Tik Tok di Casaleggio (la piattaforma Rousseau) ma attraverso un congresso (e ciaone movimentismo). Quando vedi il presidente del Consiglio espressione del M5s (Conte) che organizza a porte chiuse e senza streaming una kermesse ultra europeista (con ospite d’onore il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, su cui il M5s ha investito insieme con Forza Italia, o yes) brillantemente definita da Mario Monti la perfetta Bilderberg del grillismo (un anno fa l’Italia definiva la sua agenda economica prendendo ordini da un signore in mutande al Papeete, oggi l’Italia considera strategici i consigli offerti dal mejo establishment europeista).
Anche qui, a voler essere pigri, si potrebbe concludere il ragionamento limitandoci a sostenere che il M5s non fa altro che degustare ogni giorno i sapori provenienti dai pozzi del paese che il movimento stesso ha contribuito ad avvelenare. Ma il nostro ragionamento, così facendo, sarebbe completo solo a metà, perché non metterebbe a fuoco quello che è invece il vero tratto peculiare della stagione che stiamo vivendo ormai da due anni. Un tratto che ci permette di inquadrare le evoluzioni della politica italiana con meno cinismo e più realismo: la presenza nel nostro paese di un formidabile deep state che, sotto lo sguardo per così dire attento del Quirinale, mettendo insieme pesi e contrappesi, dirigenti competenti, amministratori non irresponsabili e burocrati non fannulloni, è riuscito nel miracolo di creare le condizioni giuste affinché persino i più temibili tra i populisti siano oggi impegnati a combattere una accanita guerra contro varie forme di populismo: contro la dittatura dell’uno vale uno, contro la dittatura della trasparenza, contro gli anti europeisti, contro le derive movimentistiche e, incidentalmente e involontariamente, contro la tirannia del sospetto. E se l’Italia, pur avendo un Parlamento composto al 60 per cento da non amanti dell’Europa, negli ultimi due anni è riuscita a non diventare la Venezuela dell’Europa, progetto che Los Casaleggios e Asociados hanno tentato in tutti i modi di portare a termine, lo si deve non a una questione fortuita ma alla capacità del sistema italiano, per così dire, di spingere i populisti a colpi di check and balance verso una consapevolezza non più reversibile, anche se non sempre purtroppo diffusa: l’unico modo per far convivere la cultura del vaffa con la realtà è fare di tutto per mandare a quel paese chi la cultura del vaffa semplicemente non la vuole mollare. E tra la stagione del Papeete sovranista e quella del Bilderberg europeista forse non dovrebbe essere così difficile scegliere da che parte stare. O no?