Lockdown Parisi

Luciano Capone

L’incredibile storia del parere chiesto da Fraccaro ai giuristi di Palazzo Chigi per blindare il presidente dell’Anpal

Roma. Doveva rivoluzionare il mercato del lavoro italiano, trovare un posto ai disoccupati attraverso i navigator e la app del Mississippi, e invece non ha fatto nulla di tutto ciò (neppure il piano industriale dell’Anpal di cui è presidente) ma si è fatto rimborsare spese per 160 mila euro principalmente per tornare ogni mese a Starkville dove ha il doppio lavoro all’università. Mimmo Parisi sembra quasi un personaggio della commedia all’italiana, anche se rappresenta un po’ la vendetta di Decio Cavallo, l’italoamericano ricco e ingenuo protagonista di “Totòtruffa”, perché in questo caso è l’italoamericano Parisi a vendere la fontana di Trevi al napoletano Di Maio. Per fortuna del ministro degli Esteri, che viaggiava in economy in Cina mentre Parisi andava ogni mese in America in business class (“perché ho il mal di schiena”), a pagare stipendio e rimborsi spese del presidente dell’Anpal sono i contribuenti.  

 

 

Può capitare di essere fregati. Ma ciò che non si comprende è, come mai, Palazzo Chigi lo difenda in maniera così ostinata. Parisi dovrebbe essere rimosso perché, secondo l’articolo 5 dello statuto dell’Anpal, il ruolo di presidente è “incompatibile con altri rapporti di lavoro subordinato pubblico o privato”. E’ proprio il caso del professore, che è un dipendente della Mississippi State University. Quando la questione è stata sollevata dalle opposizioni, il governo si è mobilitato ai suoi massimi livelli e ha fornito a Parisi come scudo un parere del Dipartimento affari giuridici e legislativi (Dagl) di Palazzo Chigi che sostiene che non esiste incompatibilità tra i due ruoli. Il Foglio ha avuto accesso a questo parere, che però presenta diverse anomalie. Innanzitutto, il documento scritto dal capo del Dipartimento Ermanno de Francisco sembra più che altro una nota informale: non c’è un numero di protocollo, non c’è una data e neppure un destinatario. Il capo del Dagl risponde “in riscontro alla richiesta formulata dalla S.V. a questo dipartimento”, senza che però si possa sapere chi sia questa Signoria Vostra, di fare “una valutazione degli aspetti giuridici inerenti la compatibilità della tipologia di incarico che il prof. Parisi potrebbe assumere presso la Missisipi (sic!) State University”. Ebbene, basandosi sulla “mera lettura della bozza della lettera di proposta di incarico” fornita a Parisi, il Dagl dice che “nessun dubbio pare poter ragionevolmente sussistere circa la natura autonoma, e certamente non subordinata, del rapporto che il prof. Parisi andrebbe a instaurare con la MSU” perché, secondo De Francisco, ci sono “indici sintomatici assolutamente concordanti”: 1) siccome l’attività di Parisi in Europa è volta a favorire la visibilità della MSU “non può non postulare una autonomia sostanzialmente completa nell’organizzazione del lavoro”; 2) l’incarico esclude l’attività didattica e “l’assunzione di responsabilità di ‘direttore esecutivo’ precedentemente ricoperte dall’interessato; 3) non c’è alcun indice di subordinazione “apparendo evidente che il riferimento al ‘50% time and effort for MSU’ sembra atteggiarsi come una specificazione del carattere non prevalente della prestazione richiesta”. In pratica per il capo del Dagl il fatto che Parisi lavori per la MSU in Italia, che non sia più direttore esecutivo e che il suo contratto sia part-time implica “certamente” che il rapporto di lavoro sia autonomo e non subordinato. E quindi compatibile.

 

A prescindere dal contenuto, ci sono molte anomalie in questo parere. Innanzitutto non si sa chi lo ha richiesto e perché proprio al Dagl di Palazzo Chigi, visto che dell’argomento dovrebbe occuparsi l’Avvocatura e che il ministero vigilante è quello del Lavoro. Di certo si sa che la nota di De Francisco è finita nelle mani di Mimmo Parisi e che lui l’ha consegnata al ministero del Lavoro il 16 marzo 2020. La data è molto indicativa, perché le prime settimane di marzo sono uno dei periodi più delicati della storia italiana, con il governo impegnato nel lockdown per arginare l’epidemia da coronavirus e il Dagl è proprio la struttura che supporta il presidente del Consiglio nel coordinamento dell’attività normativa e nella scrittura delle leggi. Pertanto, mentre doveva occuparsi dei vari decreti e Dpcm per fronteggiare una delle peggiori crisi del Dopoguerra, il Dagl è stato investito da una “Signoria Vostra” di redigere un parere per imbullonare la poltrona traballante del presidente dell’Anpal (che dipende da un altro ministero). 

 

 

Ma chi è che si è mobilitato per tutelare Parisi, proprio quando la titolare del ministero del Lavoro, Nunzia Catalfo, aveva iniziato a scaricarlo? Dalla nota del Dagl, senza destinatario, è impossibile conoscere l’identità di questa “Signoria vostra” che non ha neppure consegnato personalmente il parere al ministero. Tutta questa segretezza viene svelata proprio da Parisi, che in una lettera al capo gabinetto del ministero del Lavoro scrive esplicitamente che il parere del Dagl è stato richiesto dal “sottosegretario di stato on. Riccardo Fraccaro”. Quindi, in pieno lockdown, per proteggere Parisi si muovono i massimi livelli di Palazzo Chigi: il sottosegretario Fraccaro incarica il suo miglior giurista a disposizione, il capo del Dagl, che nel frattempo avrebbe altre cose di cui occuparsi, di blindare legalmente il capo navigator. 

 

Eppure questo sforzo del massimo livello politico-amministrativo del governo fa cilecca. Il ministero del Lavoro evidentemente non si fida di Parisi e del parere di De Francisco e, dopo averlo ricevuto, scrive alla Mississippi University ponendo una semplice domanda: Parisi è un vostro dipendente (“employee”) o un consulente autonomo (“self-employed consultant”)? La risposta dell’ateneo è inequivocabile: confermiamo che Parisi è un dipendente (“is currently employed”) della Mississippi State University con contratto part-time. E quindi incompatibile. Dopo aver ricevuto quella risposta, lo scorso 8 aprile, il ministero del Lavoro non sa più cosa fare. Magari il ministro Catalfo può chiedere un altro parere al capo del Dagl, per vedere se è ancora così convinto di quello precedente.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali