Dagli Stati generali cattive notizie per i guerriglieri saccenti
Altro che caccia al colpevole o crisi di governo. Buon senso e belle cose di una democrazia liberale al villino Algardi
Sempre per la serie buon senso contro guerrilla warfare, c’è da osservare che gli Stati generali del Bisconte non sembrano una parata di bellurie e inutili ornamentalità al servizio dell’ego governante. E nemmeno un’operazione propagandistica della maggioranza o un modo di eludere la famosa “concretezza” giustamente auspicata (va sempre ricordato, comunque, che concretezza è uno dei termini più astratti del vocabolario, infatti era il nome della rivista ideologica dell’astrattissimo concretista Giulio Andreotti).
A quanto se ne sa, nella cornice non fastosa ma seminariale del villino Algardi del parco Doria Pamphilj, sede acconcia per atti programmatici e convegni più delle stanze di lavoro di Palazzo Chigi, sono sfilati, come opportuno, non soltanto gli interlocutori europei e internazionali dell’Italia, garanti del nostro debito e della nostra ricostruzione al pari di quanto lo sia il responsabile comportamento del paese; arrivò Vittorio Colao, che ha sempre avuto un comportamento impeccabile e non rissoso di manager alla testa della task force più significativa fra le tante, per un rendiconto che era anche un congedo previsto e ovvio, ma per i romanticoni del giornalese troppo “freddo” per non nascondere chissà che cosa; arrivarono i sindacati, con le loro rivendicazioni e proposte messe in comune nella discussione, e come loro i confindustriali, tra accise e politica, vabbè; ora è il momento delle categorie della cultura, delle istituzioni culturali, seguiranno la scuola, il turismo e altri settori colpiti dalle conseguenze del blocco e dell’inattività su scala mondiale.
Sembra di capire che i famigerati “dieci giorni” che sconvolsero alcune menti malate di commentatori, convinti che un convegno programmatico dopo i mesi dell’epidemia non debba durare più di Sanremo, sennò è iniziativa sleale, siano la giusta misura temporale per discutere, puntualizzare, sminuzzare e selezionare infine o archiviare, nonché mettere in esecuzione per il viatico parlamentare una quantità di questioni e problemi della riapertura delle attività, in presenza tra l’altro di nuovi e gravi rischi presenti. Un lavoro inutile? Non sembrerebbe. I tempi rapidi entro cui è stato deciso di fare questo lavoro sono notevolmente ben scelti, sebbene si sia detto politicisticamente da autorità poco riflessive, anche della maggioranza, che era troppo presto. Credo che un Macron, o un BoJo o perfino quel borioso impostore di un Trump, darebbero qualsiasi cosa per poter fermare in un lavoro di ricognizione calmo e documentato i termini della fase 2 della cosiddetta èra Covid. Ma sono alle prese con dati preoccupanti o con rivolte di piazza fuori controllo, o con comizi senza mascherina, cose roboanti che un qualche Dio benigno finora ha risparmiato all’Italia, investita al massimo dal ciclone del generale Pappalardo, che vuole fare un ponte di bel nuovo tra Italia e Tunisia.
Alla luce di tutto questo, e salvo smentite sempre possibili, ma improbabili, non sarebbe male se lo stuolo di saccenti guerriglieri che al buon senso degli Stati generali avrebbe voluto sostituire la cattiva e inerziale e non inusitata caccia al colpevole, di che poi non si sa, magari con il contorno di una stupida crisi di governo e di una colluttazione tra personalità e leadership, accettasse di rivedere stolti giudizi e riconoscesse che gli Stati generali della ricostruzione sono una buona iniziativa politica e amministrativa, dove è stato non solo ammesso ma sollecitato il dissenso sociale, il conflitto delle idee e altre belle cose di una democrazia liberale, come si è visto nelle discussioni e polemiche del villino Algardi.