“Fiji de 'na mignotta”
Paola Taverna, in trattoria con Crimi, espone una raffinata teoria politica sul caos della maggioranza al Senato
Roma. “’Sti fiji de ’na mignotta!”. L’espressione non sarà delle più eleganti, ma rende l’idea, o meglio il carattere, anzi l’umore di Paola Taverna. Alle 21.30 di giovedì, subito dopo un acrobatico voto a Palazzo Madama, la senatrice grillina è in trattoria, in via dell’Anima, alla “Scaletta degli artisti”, praticamente – e qui un po’ si ha l’idea della parabola grillina – sotto la vecchia casa di Silvio Berlusconi. Con Taverna ci sono Vito Crimi, gerarca minore, Laura Bottici, questore del Senato, più altri commensali non meglio identificati, e certamente un’amatriciana e un carciofo (che, attenzione: non è Crimi). I cellulari dei tre parlamentari vibrano all’unisono. Drin. Drin. Messaggino in copia conforme del gruppo parlamentare: “Aula convocata domani mattina alle 9.30. Va ripetuta la votazione di oggi. Rientrare tutti. Esserci”. In pratica, negli uffici del Senato, a tarda sera, qualcuno si è accorto di un fatto increscioso: il voto, che tutti pensavano approvato, non era valido. Mancava il numero legale. Eppure il sistema informatico aveva fatto passare la votazione come valida. Pare sia la prima volta che accade nella storia della Repubblica. Ed ecco dunque l’analisi politica di Taverna, non certo sommessa, anzi udibile da tutti, cioè da mezza trattoria di via dell’Anima, malgrado i tavoli distanziati causa Covid: “’Sti fiji de ’na mignotta!”. Ma chi, esattamente? Non i circuiti del sistema informatico. Non gli operatori tecnici del Senato. Ma, a quanto pare, gli otto assenti del Movimento cinque stelle, alcuni dei quali per la verità giustificati, in ordine alfabetico (e non di mignottaggine): Abate, Crucioli, l’Abbate, Marinelli, Mininno, Pacifico, Romano e Turco. Tradimento? Manovra per affossare Conte? Chi c’è dietro? Paragone con Dibba? “Fiji de ’na mignotta!”.
D’altra parte, i 5 stelle, si sa, con la storia delle manine e dei complotti, sono un tantino fissati, un filo monomaniaci. Ma in questo caso la paranoia è forse giustificata. Poiché, in generale, per dirla alla Taverna, i “cazzetti personali” in Parlamento sono una malattia infettiva a largo raggio, e poiché – in particolare – i 5 stelle sono sempre attraversati da mille paturnie adolescenziali, caos anarcoide e ambizioni incomprensibili ai più, ecco che in sostanza il sospetto della Taverna, quello del sabotaggio interno, non appare del tutto fantasioso. Dibba vuole fare il congresso. Casaleggio litiga con Grillo. Paragone pensa alla scissione. Di Maio si toglie e si rimette la cravatta a seconda di come gli pare messo il governo. Morra crede di poter fare il ministro al posto di Bonafede. Insomma di cose ne succedono. E d’altra parte, i migliori tra i grillini, quelli cioè che parlano in italiano e sanno persino far di conto, se n’erano accorti già nel pomeriggio che in Senato qualcosa non andava, mancavano in troppi. Il Pd aveva tre assenti, i renziani uno, i grillini: otto. E tutto questo in un ramo del Parlamento in cui, non è un segreto, la maggioranza si regge a malapena. “Perché non sono venuti?”, si chiedeva allora Gianluca Perilli in una riunione con i vari capetti, grattandosi nervosamente la testa, lui che tuttavia è il capogruppo dei Cinque stelle, in pratica quello che in realtà dovrebbe sapere esattamente chi è presente, chi è assente e soprattutto perché. “E Federico che faceva, dormiva?”, dove per Federico s’intende D’Incà, cioè il ministro dei rapporti con il Parlamento. “Boh”. Ecco. Ed è un “boh” che ieri riecheggiava fino a Palazzo Chigi, dove Conte si è messo a telefonare ai capigruppo di maggioranza per ringraziare i parlamentari di aver fatto lo sforzo di rivotare. Ieri. C’è gente che aveva già preso il treno per tornare a casa. Fiji de ’na mignotta compresi.