Viareggio, dietro le quinte del Carnevale:

Intellettuali che prendono a calci i fatti

Giuliano Ferrara

Schivare la verità sulla pandemia. Vedere il populismo dove non c’è. Il caso Ricolfi: una imbarazzante dimostrazione di quanto possano odiare la realtà e incensare le loro formule i prestigiosi studiosi di riferimento per aree culturali di buona stoffa

Agli intellettuali, studiosi, ricercatori italiani capita di tanto in tanto di disprezzare i fatti. Dei quali in effetti non ha senso avere una visione idolatrica, visto che sono da selezionare e interpretare secondo un punto di vista soggettivo, ma il disprezzo è altra cosa, indica una patologia dell’intelligenza e diverse altre lacune tecniche e metodologiche. Luca Ricolfi, per esempio, è un intellettuale esperto nell’analisi dei dati, un sociologo di valore, che tutti rispettano anche per la sua inclinazione empirica e liberale. Ha addirittura dato vita a una fondazione intitolata a David Hume, non so se mi spiego. Eppure in un’intervista lunga e argomentata al brillante Huffington Post di Mattia Feltri, Ricolfi ha deciso di prendere a calci la realtà fattuale mettendosi all’attacco come un fuoriclasse del football. Il gol non è arrivato e spiego perché.

  

Sostiene l’analista dei dati che il premier italiano Conte è un poveraccio, e fin qui i fatti non c’entrano, si tratta di interpretazione o giudizio di valore, cose legittime e anche necessarie in politica. Alla base di questo giudizio sta però l’affermazione che il governo italiano non ha capito nulla dell’epidemia del coronavirus all’inizio, e senza aver saputo che cosa fare durante, ora ci espone a rischi inauditi per un capriccio, la volontà di impedire che affondi il turismo, inteso come la frivola tendenza alle vacanze più o meno intelligenti e più o meno contagiose. Il tutto è detto, anzi spiegato manualisticamente, con grande sussiego e ausilio di diagrammi. E la conclusione è che le cose si mettono assai male perché siamo governati, come gli Stati Uniti, come il Brasile e come il Regno Unito, da un governo populista. Bum.

   

Lasciamo stare di nuovo il giudizio politico, libero e in certi casi imperscrutabilmente volatile, ma è un fatto che il Conte 2 o Bisconte nasce dalla crisi di una formula populista, esemplificata dal suicidio politico del senatore Salvini che da Truce governava ideologicamente dal Viminale l’appello alla paura e il richiamo oscuro dei pieni poteri alla Bolsonaro; è un fatto che in quel governo l’avvocato dello studio Alpa, suggerito maliziosamente e con successo dalla segreteria generale del Quirinale come vice dei vicepresidenti del Consiglio, faceva funzione di reggimoccolo di una cerimonia che gli era sostanzialmente estranea, essendo lui un lobbista moderato; è un fatto che nel passaggio della crisi la sua scelta maliziosa, Giuseppi’s choice, di attaccare con stile parlamentare il Truce gli è valsa la bispresidenza in un governo che a sorpresa fu composto da grillini alla deriva e dall’unico partito costituzionale e antipopulista della geografia politica sconquassata del paese, il Partito democratico, fino allora e anche dopo giudicato dai populisti come l’ultimo rifugio delle élite incuranti degli interessi del popolo. Tecnicamente è dunque risibile attribuire l’epiteto di populista alla Trump, alla Bolsonaro o anche alla BoJo al Giuseppi numero 2, ai suoi ministri dell’Economia, dell’Interno e al suo commissario europeo Gentiloni. Ma per simpatia verso il professor Ricolfi, nei confronti del quale non abbiamo alcun malanimo, ammettiamo pure che quello che ha affrontato la crisi sanitaria mondiale in Italia sia un governo populista. Che cosa ha fatto questo esecutivo populista? Ha fatto come BoJo nel Regno Unito, come Trump, come Bolsonaro?

   

Non parrebbe, secondo un giornalone liberale, pragmatico e clever come l’Economist di Londra, nato centocinquanta anni fa nella congiuntura ideologica di John Stuart Mill e di Walter Bagehot, e fiorito con il suo empirismo programmatico nella patria di Hume. Dicono nell’ultimo fascicolo che Johnson avrebbe dovuto chiudere tutto quando lo fece l’Italia, prima in classifica, il 9 marzo scorso, e non attendere tre nocive settimane per chiudere con timidezza. Che per questo motivo i danni sono stati incalcolabili e il Regno Unito è il paese occidentale con il rapporto di letalità del virus più alto. Aggiunge che quando l’Italia e la Germania tracciavano il virus con circa quarantamila tamponi, il paese culla del liberalismo, preso dalla stupida osservanza della teoria dell’immunità di gregge, di tamponi ne faceva appena settemila o giù di lì.

  

Il rimprovero aspro dell’Economist al premier britannico, bravo in retorica ma disattento ai dettagli, è di aver seguito moduli trumpiani che hanno arrecato danni anche maggiori, per certi versi, negli Stati Uniti, dove solo il federalismo dei governatori ha ridotto le perdite, e non invece moduli italiani e poi dell’Europa continentale. Forse Conte non è altrettanto capace in retorica, anzi senza forse, ma l’attenzione ai dettagli c’è stata e con la riapertura l’attenzione al turismo per un paese come l’Italia, tra le altre cose, non è un omaggio alle piccole vacanze spensierate dei racconti di Arbasino, parrebbe invece essere, a fare un’analisi non sprezzante dei dati, un tentativo di salvare quella che forse è la prima industria nazionale in rapporto al pil. Che su tutti questi fatti sorvoli dall’alto della sua cattedra il fondatore dell’istituto Hume e analista dei dati professor Ricolfi è appunto una ulteriore e imbarazzante dimostrazione di quanto possano odiare la realtà e incensare le loro formule certi intellettuali anche prestigiosi e di riferimento per aree culturali di buona stoffa.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.