Perché si è tornati a parlare di "colpo di stato giudiziario" nei confronti di Berlusconi?
Due importanti novità mettono in discussione la condanna per frode fiscale dell'ex presidente del Consiglio
A distanza di quasi sette anni, torna a far discutere la sentenza con cui nel 2013 Silvio Berlusconi fu condannato in via definitiva per frode fiscale e successivamente dichiarato decaduto dalla carica di senatore. Due importanti novità hanno riportato alla ribalta la vicenda, facendo esplodere una vera e propria bufera politica e spingendo gli esponenti di Forza Italia, incluso il vicepresidente Antonio Tajani, a parlare addirittura di “colpo di Stato giudiziario”. Le novità, riportate oggi dal Riformista e anticipate ieri sera dalla trasmissione Quarta Repubblica sono due: una conversazione registrata in cui Amedeo Franco, magistrato che di quel processo fu relatore in Cassazione, afferma che Berlusconi fu sostanzialmente vittima di un'ingiustizia, e una recente sentenza del tribunale civile di Milano che ribalta la sentenza penale. Andiamo con ordine.
Il 1° agosto 2013 Berlusconi fu condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione a quattro anni di reclusione per una frode fiscale da 7 milioni di euro. Secondo l’accusa, per diversi anni Mediaset acquistò dei film americani attraverso la finta mediazione di Farouk Agrama, pagandoli molto meno di quello che Agrama fece risultare. La differenza tra prezzo vero e prezzo falso, da un lato, sarebbe stata intascata da Agrama, e dall’altro avrebbe permesso a Mediaset di abbattere gli utili dichiarati al fisco, pagando così meno tasse. L’inchiesta, nata nel 2005, conobbe un iter giudiziario incredibilmente rapido per il timore che potesse scattare la prescrizione (sentenza di primo grado nell’ottobre 2012, sentenza di appello nel maggio 2013 e sentenza definitiva nell’agosto dello stesso anno). Alla luce della sentenza, Berlusconi (che scontò la pena ai servizi sociali) venne dichiarato decaduto dalla carica di senatore.
A sette anni di distanza emergono delle novità importanti, contenute in un supplemento di ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo presentato giorni fa dagli avvocati di Berlusconi (Andrea Saccucci, Bruno Nascimbene, Franco Coppi e Niccolò Ghedini) contro la sentenza della Cassazione. La prima riguarda un incontro che avvenne, dopo la sentenza, tra Berlusconi e Amedeo Franco, relatore della pronuncia della Cassazione, deceduto lo scorso anno. I due non erano soli, e qualcuno dei presenti registrò la conversazione. “Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà… – affermò Franco – A mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto… In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? … Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso del… ci continuo a pensare. Non mi libero… Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo…”. Franco aggiunse anche che “sussiste una malafede del presidente del Collegio, sicuramente…”, e che “si poteva cercare di evitare che (Berlusconi, nda) andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare”.
Insomma, per il relatore della stessa sentenza, Berlusconi fu vittima di “una grave ingiustizia”, perpetrata da un autentico “plotone di esecuzione” e comminata perché “Berlusconi deve essere condannato a priori”. Su queste parole si è scatenato un vero e proprio putiferio a livello politico. Così come ogni altra conversazione intercettata ed estrapolata dal contesto, però, anche questa andrebbe valutata con molta cautela, anche perché l’autore delle affermazioni nel frattempo è venuto a mancare.
Decisamente più significativi, così, appaiono essere i contenuti di una sentenza dello scorso gennaio del tribunale civile di Milano proprio sul caso Mediaset. Una volta divenute definitive le condanne, infatti, Mediaset ha fatto causa ad Agrama ed alcuni suoi soci per chiedere il risarcimento dei soldi pagati ma non dovuti. Dopo aver esaminato tutte le carte del processo penale, compresa la sentenza della Cassazione, il tribunale ha stabilito che non ci fu alcuna intermediazione fittizia. “Ritiene questo giudice che i convenuti fossero effettivi acquirenti e rivenditori dei prodotti poi riacquistati dalle società Mediaset e RTI. Nella fattispecie concreta non è provata la interposizione fittizia, affermata invece nella sentenza Mediatrade”, afferma nella sentenza il giudice Damiano Spera.
Secondo il giudice, “al contrario è stato provato che, in più occasioni, sia Paramount che Mediaset e RTI tentarono, senza riuscirci, di eliminare la ingombrante presenza di Agrama per poter avere mano più libera nella vendita dei prodotti”. La valutazione è così netta, che il giudice sceglie di usare persino il punto esclamativo: “Il fatto della ‘interposizione fittizia’ contestato nei capi di imputazione non sussiste!”.
E non è tutto. Dopo aver affermato che l’intermediazione di Agrama fu reale, e non fittizia, il giudice stabilisce anche che la società di Agrama, che le sentenze penali avevano dichiarato fosse un’invenzione, è invece una società vera e propria, con una propria struttura e un considerevole numero di dipendenti. E ancora: non ci fu nessuna maggiorazione nelle fatture, ma i prezzi ai quali Mediaset comprò i film erano ragionevoli e in linea con il mercato: “Non solo non è provata una indebita maggiorazione di prezzo, ma dopo ‘l’era di Agrama’ le società attrici hanno dovuto subire condizioni negoziali peggiori di quelle precedenti”. La sentenza, insomma, ribalta completamente la pronuncia penale della Cassazione con cui Berlusconi venne condannato. Più che su colloqui registrati di nascosto anni fa e diffusi solo dopo la morte del diretto interessato, è su questa sentenza che bisognerebbe riflettere.