Quando la centralità dei tecnici e l'uno vale uno si intrecciano, generano mostri
Hayek e i limiti della conoscenza ai tempi della pandemia
La centralità dei tecnici nelle decisioni politiche, principalmente di carattere economico, è stata negli ultimi anni un punto rilevante del dibattito culturale. L’uno vale uno è stato il suo perfetto contraltare e, all’interno di questa banda larga di posizioni, c’è stato un continuo rincorrersi, spesso in una sola direzione: il ribasso populista, tendenza cuoca di Lenin.
Poi la pandemia ha rimescolato le carte. La centralità dei tecnici ha raggiunto un livello mai visto prima e l’ideale della tecnocrazia realizzata è sembrato giungere a compimento nell’incarnazione semi-distopica del comitato tecnico-scientifico. Adesso, dopo mesi di fedeltà agli scienziati, come verso tutto ciò a cui si è fedelmente sottoposti per un certo periodo di tempo, si vive una crisi di rigetto. Legittima e allo stesso tempo irrazionale, in parte necessaria per tornare a vivere, che è sempre un atto d’imperio e d’audacia.
Gli scienziati e i loro comitati tecnici non sono depositari di una verità salvifica assoluta su ogni cosa (siamo stati noi, pretendendo troppo, a volerli credere tali, visto che in mezzo alla notte pretendiamo sempre una luce di salvezza; loro in fin dei conti davano e danno consigli, il resto spetta alla politica e a noi stessi). Ma ora, con il pericolo pandemico che va scemando, quegli stessi scienziati non sono diventati improvvisamente asini da spernacchiare o da equiparare all’asinino uno vale uno.
Senza entrare ancora nella questione del conflitto di attribuzione fra tecnici e politici, ci si può soffermare un po’ più di un attimo a riflettere sul diverso modo in cui si conosce, su quanto si può conoscere e sull’uso che si può fare della conoscenza leggendo due brevi scritti di Friedrich von Hayek che riprendono in modo sintetico molti dei suoi temi più rilevanti, fondativi per qualsiasi etica della libertà. I saggi sono “Gli errori del costruttivismo” e “Due tipi di mente”, nel bel volume “Nuovi studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee” (Armando editore).
Hayek riflette su come alcuni studiosi apprendono ed elaborano le loro idee. Egli distingue tra due tipi di menti. Una più precisa, mnemonica, interamente padrona della propria materia e un’altra più enigmatica, meno in grado di seguire un percorso ordinato e impostato ma più creativa, e che riesce a tirare fuori qualcosa di peculiare dal confronto con il mondo e con lo studio: “Ciò che mi danno le mie fonti non sono singole conoscenze da mettere insieme, ma la possibilità di modificare una struttura già esistente in seno alla quale debbo trovare la mia strada osservando tutti i tipi di accorgimenti”. Se la prima è una mente più applicativa, la seconda è sicuramente più flessibile e più pronta a incamerare le innumerevoli variabili di un mondo sempre più complesso; è meno rigida, meno tecnica e ultraspecialistica, ma è più in grado di navigare nell’incertezza, di comprenderla e rielaborarla.
Nel breve saggio contro il costruttivismo, in cui Hayek sintetizza uno dei paradigmi essenziali di tutta la sua produzione intellettuale, c’è un’importante riflessione sui limiti della conoscenza e sull’accettazione di questi limiti. Alla base del rifiuto del costruttivismo c’è proprio l’idea che la conoscenza disponibile per ciascuno sia limitata e nessuno può esserne padrone per intero e quindi decidere e disporre su tutto e per tutti gli altri. Infatti, “che malgrado tutto il progresso della nostra conoscenza, i risultati dei nostri sforzi continuino a dipendere da circostanze di cui conosciamo poco o nulla, e da forze ordinatrici che non possiamo controllare, è proprio ciò che molti considerano intollerabile”. L’intolleranza verso i limiti della conoscenza, ovvero verso l’accettazione dell’incertezza del mondo, può portare a due tendenze speculari: una che confida nella sapienza assoluta di un super organo tecnico-scientifico-politico che sia in grado di tutto sapere e di tutto ordinare; l’altra che ritiene che se non si può conoscere nulla per intero allora quello che ciascuno pensa è equivalente a quello che pensa chiunque altro (ancora uno vale uno).
Non è un caso che la riflessione hayekiana sulla conoscenza limitata sia alla base di qualsiasi idea di governo liberale, mentre questi altri due tipi di atteggiamento possono essere annunciatori di governi illiberali, o quantomeno paternalistici. E quando, in maniera paradossale, l’ultratecnico e l’uno vale uno si saldano, rischiano di miscelarsi in perversa alchimia politica.