(foto LaPresse)

La disfida della par condicio vent'anni dopo

Fabrizio De Feo

Un volume ripercorre la storia della legge che ha riscritto la storia della comunicazione politica italiana

Sono trascorsi poco più di 20 anni dall’approvazione della legge sulla par condicio. Era il 22 febbraio del 2000 quando venne approvata la norma che riscrisse la comunicazione politica, mise al bando gli spot televisivi, regolamentò in maniera stringente le presenze dei politici nei tg e nei programmi, offrendo anche la ribalta a illustri sconosciuti balzati agli onori delle telecamere in virtù della presentazione della propria lista o del proprio partitino. Il verdetto del Senato, per appello nominale come richiesto dal capogruppo forzista Enrico La Loggia, recitò: 149 voti a favore, 15 contrari (i senatori dell’opposizione lasciati a presidio dell’aula, mentre gli altri la lasciarono in segno di protesta) e un astenuto. “Ma non finisce qui”, urlò il centrodestra, denunciando l’avvento della “legge bavaglio”. In realtà quella norma ha resistito per due decadi e si appresta a essere applicata per le elezioni regionali di settembre, nonostante le periodiche, feroci polemiche che l’hanno accompagnata, la difficoltà delle varie testate nel praticare il diritto-dovere di cronaca anche nell’informazione istituzionale, l’uso a volte furbetto a volte disinvolto da parte dei direttori e dei conduttori-giornalisti nella scelta degli interlocutori e degli ospiti. 

 

Oggi, a vent'anni dalla nascita della legge, le edizioni The Skill Press hanno presentato in un webinar un volume che ripercorre l'aspra contesa politica di quei mesi e analizza le prospettive future della regolamentazione della “parità di condizione” radiotelevisiva. 'La disfida della Par Condicio 20 anni dopo', è curato dal giornalista Luca Romano e contiene le testimonianze di due protagonisti dei fronti contrapposti dell'epoca: Vincenzo Vita, a quel tempo sottosegretario alle Comunicazioni e principale promotore della legge, e Giorgio Lainati, allora capo ufficio stampa e poi deputato e vicepresidente FI della commissione di Vigilanza Rai. Arricchiscono il volume i contributi di Stefano Luppi, capo delle Relazioni istituzionali della Rai, e Gennaro Pesante, giornalista ed esperto di comunicazione, oltre a una ricca rassegna stampa di quei giorni e due testi normativi: quello proposto dal governo e approdato in Parlamento e quello vigente, con le varie modifiche avvenute nel corso degli anni.

 

Alla presentazione, introdotta dal Ceo di The Skill Andrea Camaiora e moderata dal giornalista del TG1, Marco Frittella, oltre agli autori, hanno preso parte Luciano Violante, presidente di Fondazione Leonardo e ex presidente della Camera dei deputati, Anna Maria Bernini, presidente dei senatori di Forza Italia, Marco Follini, già segretario Udc e vicepresidente del Consiglio. “La legge sulla Par Condicio in sé è completamente superata, ormai il sistema della comunicazione è radicalmente cambiato per cui questa legge è una sorta di relitto del passato. Non mi pare che attualmente la norma abbia una particolare efficacia, anche perché oggi tutto passa dalla Rete” spiega Luciano Violante. “Abbiamo assistito durante le ultime elezioni regionali a messaggi politici in apparente violazione della Par Condicio che venivano mandati dai dirigenti politici persino qualche ora prima o nel giorno stesso delle votazioni. Credo vada fatta una riflessione più seria e ampia su questo tema. Mancano due anni alle prossime elezioni, occorre prendere atto che il mondo dell’informazione ha subito svolte quasi epocali, confrontandosi con Paesi che dal punto di vista della comunicazione sono più avanti di noi e che da più tempo lavorano sulla regolamentazione dei social network in relazione ai messaggi della politica. Questo mi pare sia il punto di fondo: una riflessione complessiva, non tanto sulla legge che secondo me è un’anticaglia, ma su cosa deve essere una corretta regolazione del conflitto politico, anche con riferimento al finanziamento delle campagne elettorali. C’è stata una legge, secondo me sciagurata, che ha tagliato le risorse alle forze politiche e che ha di nuovo alterato la situazione. Bisogna rivedere serenamente le regole della competizione politica”. Un tagliando alla legge e un adeguamento alla nuova era digitale viene richiesto anche da Anna Maria Bernini.

 

“Penso che questa norma sia ormai iconica, ha resistito per 20 anni non credo perché fosse perfetta ma probabilmente perché nessuna delle forze politiche ha osato addentrarsi in questa selva oscura, visto che modificando un elemento si rischiava di produrre un effetto domino anche su altri. Quello che io avverto è che certamente la norma sulla par condicio deve diventare da analogica a digitale, rivoluzionando se stessa”. Di certo “gli schemi che quel momento politico e parlamentare hanno creato non sono così facilmente trasponibili sui social e sulla comunicazione multitasking. E’ vero che ci sono altri luoghi d’Europa come Francia, Germania e Olanda dove non è possibile propagare i sondaggi durante la campagna elettorale, anche da noi sarebbe vietato però sappiamo benissimo quali sono gli escamotage per diffonderli”. Chi lancia acqua sul fuoco dell’illusione di regolamentare la Rete è l’ex presidente della Rai, Roberto Zaccaria.

 

“Non fatevi illusioni di fare una legge sulla par condicio per la Rete. Vi domando: pensate realmente sia possibile disciplinare la rete? L’unica cosa che si può fare per la Rete è solo stabilire il silenzio elettorale come si faceva una volta il giorno prima e durante l’elezione, porre i bilancini non si può”. Zaccaria non nasconde le proprie perplessità neppure sulle sanzioni. “Ho molti dubbi sui sistemi applicativi della legge, parlo della commissione parlamentare e parlo soprattutto dell’Agcom. L’Agcom ha sempre fatto un monitoraggio estremamente discutibile dell’applicazione della legge, ogni tanto venivano pubblicate delle illeggibili tabelle. Quindi una scorretta, impropria e deformante rappresentazione del monitoraggio, non era una fotografia chiara ma era una fotografia confusa e pasticciata, e poi c’è stata la mancanza di un controllo d’ufficio e delle sanzioni che sono ridicole”.

 

Vincenzo Vita ha un ricordo nitido di quella disfida parlamentare, “La legge sulla Par Condicio nacque perché c’era un’assenza, la legge voleva cercare, come se fosse un’aspirina, di mettere ordine in un corpo malato. Non era andata in porto la legge su conflitto di interesse e non aveva avuto esito una rigorosa normativa anti concentrazione nel campo televisivo. Nella disperazione e in prossimità di campagne elettorali in cui uno dei competitori, Silvio Berlusconi, aveva la proprietà di un impero televisivo si rendeva obbligatorio per un sistema democratico dare per lo meno un primo antibiotico: la Par Condicio”. “Voglio ricordare che nel primo testo della legge sulla Par Condicio si recava, all’articolo 1, anche la regolazione dei servizi in rete” aggiunge Vita. “Allora, non appena il testo arrivò in Commissione al Senato, ci fu fatto togliere persino questo cenno doveroso perché si diceva che la Rete non poteva essere censurata. Voglio ricordare che oggi per esempio sui social in Italia non c’è neppure il silenzio elettorale e il divieto di pubblicazione e divulgazione di sondaggi”. Marco Follini, infine, dopo aver reso merito alla “strana coppia Vita-Lainati” di essersi “applicata a un problema drammaticamente serio, quello delle regole sulla comunicazione politica in televisione”, estrae dal cassetto dei ricordi alcuni aneddoti. “Quando si votò la legge sul par condicio si disse che non aveva un tratto liberare. Era vero, ma quella legge serviva ad arginare lo strapotere televisivo di Berlusconi e la commistione tra convenienze politiche ed interessi aziendali. In quel tempo venne da me il segretario amministrativo del mio partito e mi disse: ‘Guarda che se cambia la legge io mi troverò costretto a finanziare indirettamente un altro partito che è nostro alleato si fa per dire e nostro competitore’. Questa cosa mi capitò anche di dirla ai giornali, il ché non migliorò più di tanto i miei rapporti con il Cavaliere. Berlusconi era convinto che cambiando quella legge avrebbe tratto un grande beneficio politico e non si accorgeva di due cose fondamentali, la prima è che quando insorge una crisi di consenso, una crisi politica ed elettorale non è con questi accorgimenti che se ne viene fuori e la seconda è che quando si comincia a mettere mano alle regolE, una forzatura tira l’altra come le ciliegie. Tant’è che di lì prese spunto anche un maldestro tentativo, purtroppo riuscito, di cambiare la legge elettorale con tutte le conseguenze che abbiamo visto e di cui stiamo ancora pagando oggi il prezzo. 

 

Quando finì quella legislatura, Violante lo ricorderà perché era Presidente della Camera, mi capitò di andare a trovare il Capo dello Stato che era Ciampi e gli dissi: qui stanno per accadere due cose. Si cercherà di cambiare la legge sulla par condicio e si cercherà di cambiare la legge elettorale. Quanto alla par condicio io posso forse da solo fare argine, perché senza i voti del mio partito , allora l’Udc non c’erano i margini per un’approvazione in parlamento, la legge elettorale è un’altra cosa e sta come dire a un livello superiore. Ciampi mi guardò con un sorriso e disse: ma io che cosa posso fare…Aveva chiari i limiti della potestà quirinalizia e le cose sono andate poi come sono andate”.

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