Intervista a Maurizio Molinari: "Vi racconto la mia nuova Repubblica"
Basta con destra e sinistra. “Sono categorie vecchie”, ci dice il direttore. “Più longform e meno ideologia”
E’ già la sua Repubblica o è ancora l’altra Repubblica? “Non posso parlare per chi mi ha preceduto, ma posso assicurare che siamo all’inizio di una trasformazione che è una trasformazione digitale, tecnologica e industriale. Chi vuole capire come sarà la prossima Repubblica non può che partire dall’osservare il suo sito web”. E però, si può dire che sulla carta sono scomparsi i vecchi titoli di combattimento e che il suo giornale aspira a essere più ordinato e sobrio? Più rigore e meno rumore? “Facciamo un giornale sulle notizie e non sul colore delle notizie”. Dunque niente più aggressività? “Le notizie devono essere presentate con sufficiente aggressività ma anche con sufficiente eleganza, l’intento è garantire la qualità dell’informazione”.
E così, quando a Maurizio Molinari, alla fine della nostra conversazione, chiediamo quale sarà il prossimo “colore” del quotidiano che ha “una certa idea dell’Italia” e che da tre mesi dirige, il direttore risponde che sarà verde e blu. Sono i colori che descrivono l’attenzione per il clima e l’economia sostenibile. “Abbiamo la pretesa di affrontare i temi cruciali di questo tempo. Non più dividere il mondo nelle vecchie categorie destra-sinistra, ma dibattere di ambiente, diseguaglianze sociali, diritti digitali. Repubblica è la palestra di idee dove è possibile affrontare questi argomenti. Lo deve fare ospitando più opinioni, anche se tra loro contrastanti”.
Per quasi un’ora, il direttore si sottopone al nostro piccolo interrogatorio e a tratti ci rimprovera ma con leggerezza quando le nostre domande si sovrappongono alle sue risposte: “Dalla mia intervista a Carl Bernstein ho imparato che il compito del giornalista è ascoltare”. E invece, forse perché siamo cresciuti con la vecchia immagine di Repubblica e delle “dieci domande”, il quotidiano della sinistra italiana, proviamo a insidiare Molinari. Vogliamo sapere cosa ne pensa della frase di Romano Prodi su Silvio Berlusconi pronunciata durante Repubblica delle Idee di Bologna: “Un suo ingresso al governo non può essere un tabù”.
L’ha sorpresa? “No, perché il profilo era basso. L’apertura era tattica e non strategica. Io non gli darei importanza politica”. La linea politica di Repubblica sembra invece essere cambiata. Dal favore verso il governo M5s-Pd si è passati alla severità mentre sembrano cadute le antiche asprezze ideologiche verso il centrodestra.
“La missione di un giornale è sottoporre delle questioni. Se mi volete fare dire che il governo debba affidarsi a Berlusconi, non ci riuscirete. Io credo che affidarsi a un uomo politico del secolo scorso non abbia senso. Penso invece che le sfide che indica Repubblica siano sfide che interrogano tutti e dunque anche il centrodestra”.
La vera notizia è forse questa. Con Molinari, Repubblica ha l’ambizione di dettare l’agenda non solo a un pezzo di paese. Lo può fare, anzi, nelle intenzioni di Molinari, lo deve, perché fa parte di Gedi che include la Stampa, le radio, quattordici giornali locali. “E’ un gruppo che non ha eguali per vastità. Un gruppo orizzontale che va armonizzato, nel rispetto dell’identità delle singole testate”. Ci spiega dunque, con un esempio facile, la sua idea di giornalismo. “Longform digitali, almeno una alla settimana, come abbiamo cominciato a fare. E poi inchieste di videoreporting digitale come quella che abbiamo realizzato sull’incidente di Alex Zanardi. Sono serviti dieci giorni e figure professionali nuove. Abbiamo in pratica costituito una nuova unità giornalistica ibrida, con competenze di carta e digitali. Il modello è il Nyt che, con un lavoro eccezionale, ha ripercorso le ultime ore di George Floyd”.
E’ sicuramente un altro modello editoriale e si rivolge, secondo Molinari, a un pubblico giovane e disposto a pagare i contenuti. E infatti, per il direttore, la pandemia ha accelerato un percorso per cui sarebbero serviti tre anni. “Sono cresciuti gli abbonamenti digitali. Si sta radicando l’idea che l’informazione abbia un costo. E’ quel mutamento industriale di cui parlavo all’inizio”. Con il pretesto del tabù, gli domandiamo allora se ne esistono tabù per i lettori di Repubblica. “Chi paga chiede un’informazione meno ideologica, ovvero di qualità. L’identità del prodotto di carta, quel patrimonio di valori, serve per rafforzare la coesione della comunità intellettuale di riferimento ma deve incontrarsi con i nuovi lettori digitali”. Ma gli storici lettori incontreranno ancora le firme identitarie?
In queste settimane si è parlato di malumori e c’è attenzione per quanto riguarda il futuro di Francesco Merlo, Michele Serra, Natalia Aspesi, che potrebbero presto andare via. Insomma, direttore, non teme la loro fuga? “La mia percezione è che all’interno della redazione non ci sia questo malessere. I nomi che lei fa sono protagonisti del giornale in edicola e sul web. Non credo ci saranno uscite ma nessuno può escluderlo. L’uscita che mi ha davvero sorpreso è stata quella di Gad Lerner. Gli ho spiegato che stava sbagliando. Rispetto la sua decisione anche se mi è sembrata dura, aggressiva, immotivata. In ogni caso gli ho detto che, se dovesse ripensarci, nei prossimi 120 anni siamo pronti a riaccoglierlo”.
Presto, Repubblica accoglierà nuove firme (“Ci sono trattative in corso”). Molinari si limita a disegnarne il profilo: “Saranno giornalisti capaci di interpretare il presente senza essere prigionieri del passato. Il cantiere è aperto”. Servendoci della parola ‘cantiere’ ci spostiamo in cronaca. Cosa ne pensa della revoca della concessione ad Autostrade? “Che bisogna fare coincidere l’obbligo alla sicurezza, l’interesse dei consumatori. I genovesi sapevano, prima del crollo, che il ponte era insicuro. Che i parametri di sicurezza non fossero rispettati è ormai noto. Oggi dobbiamo però chiederci se il fallimento di Aspi è nell’interesse del paese. Che impatto potrà avere sull’economia nazionale nel bel mezzo di una crisi drammatica come questa?” risponde Molinari a cui non rimane che chiedere quanto sia davvero solido il governo Conte. “Al premier va riconosciuto di aver unito il paese nell’emergenza sanitaria. Ha fatto un ottimo lavoro. I leader si misurano sulle crisi improvvise. Conte ha recuperato, in politica estera, il rapporto con gli alleati storici. Ma sulla crisi economica è in ritardo. L’emergenza economica sarà la prova che lo definirà”.
Proviamo infine con una cattiveria. Carlo De Benedetti, per contrastare quest’ultima Repubblica, ha fondato Domani, che è un po’ la vecchia Repubblica che ha sempre dato un “colore alle notizie”. Non lo teme? “Ogni competizione mi avvince. Sono un uomo che crede nelle leggi di mercato…”.