Linea Di Maio sul lavoro, linea Bonafede sulla giustizia, linea Salvini sull’immigrazione. E’ solo l’Europa il riformismo dei dem?
Roma. Chissà se ha ragione il responsabile economico del Pd Emanuele Felice, quando dice che “il meno peggio è un sano principio riformista” oppure Tommaso Nannicini, suo collega di partito e predecessore in epoca renziana, che sostiene che invece è “il riformismo è l’opposto: il meglio possibile”. Si tratta dello stesso concetto, il raggiungimento di un risultato concreto tenendo conto dei rapporti di forza e dei vincoli di realtà, ma con un atteggiamento psicologico-comunicativo diverso. Un po’ come il bicchiere, che qualcuno vede mezzo vuoto e qualcun altro mezzo pieno. Il punto, però, è vedere cosa c’è in questo bicchiere. E cioè con quali contenuti il Partito democratico ha riempito la nuova maggioranza, quali sono i cambiamenti al margine e i miglioramenti ottenuti attraverso l’azione di governo. Il governo Conte II è in teoria nato in netta discontinuità rispetto al Conte I, anche se il Pd non è riuscito a cambiare la figura del premier che però si è improvvisamente trasformato da frontman delle forze “sovraniste e populiste” a “punto di riferimento delle forze progressiste”. Ma nella pratica, in cosa è consistita questa svolta?
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