Luigi Marattin, deputato di Italia viva (foto LaPresse)

"la credibilità che manca all'italia"

"Meglio le condizionalità di Rutte che il populismo di Quota 100", dice Marattin

Valerio Valentini

Il deputato renziano critica chi invoca il bancomat di Bruxelles. La difesa della riforma delle pensioni di Salvini come metafora della subalternità al sovranismo. E no, "il riformismo non è il meno peggio"

Più che dalla paventata dittatura dei frugali e di Mark Rutte, Luigi Marattin si dice preoccupato dalla "egemonia culturale, prima ancora che politica, esercitata dai populismi e da Matteo Salvini". Una subalternità al sovranismo, e alle sue logiche, che per il deputato di Italia viva, vicecapogruppo alla Camera e responsabile economico del partito di Matteo Renzi, distorce in fondo anche il racconto che si fa della discussione, aspra e serrata, che è in corso a Bruxelles. "Questo ridurre tutto il senso del confronto in atto in seno al Consiglio europeo come uno scontro tra 'egoismo' e 'solidarietà' – ci dice Marattin – è una rappresentazione macchiettistica, purtroppo estremamente diffusa tra politici e giornalisti e che quindi inevitabilmente si diffonde nell’opinione pubblica". 

 

Mentre in realtà?

"In realtà si sta giocando una partita essenziale per il futuro della Ue, perché per la prima volta si cerca di far avanzare l’idea di una vera condivisione dei rischi macroeconomici, una condizione essenziale per il completamento dell’Unione monetaria e per far avanzare proficuamente il processo di integrazione. Questa maggior condivisione deve andar di pari passo con maggiore responsabilità e la creazione di una sovranità europea, adeguatamente supportata da riforme dell’architettura istituzionale della Ue. Ma per qualcuno tutto questo non conta, e sta solo cercando un bancomat di soldi facili per continuare a fare quello che ha sempre fatto". 

 

Ce l'ha con chi, come Luigi Di Maio, ha fatto subito sapere che coi fondi del Recovery vorrebbe abbassare le tasse, confermando però RDC e Quota 100?

"Voi giornalisti cercate sempre la polemica. Figuriamoci se ce l’ho col Ministro degli Esteri. Non sarebbe rispettoso ne’ opportuno. Leggo invece sempre con attenzione ciò che scrive. Come ad esempio l’altro giorno, quando ha scritto su Facebook che poiché Aspi si quoterà in Borsa, sarà sottratta alle logiche del mercato. Occorre poi stare attenti all’immagine che diamo di noi stessi. Sono rimasto stupito, ad esempio, di come all’indomani della proposta della Commissione (che si sapeva benissimo sarebbe dovuta passare per il vaglio unanime del Consiglio) mezza classe politica italiana stava con lo champagne in mano a festeggiare il fatto di 'poter finalmente tornare a spendere per la prima volta in 30 anni'. E poi ci lamentiamo se all’estero qualcuno non vuole finanziare tutto ciò con le proprie tasse". 

 

D'altronde, se davvero s'è diffusa la voce per cui saremmo l'unico paese arrivato al vertice senza un Piano nazionale delle riforme (Pnr) validato dalla Commissione (giallo tutt'ora da risolvere, dacché in Cdm il documento è stato varato tre settimane fa, ma al Mef dicono che mancherebbe ancora un vaglio parlamentare, prima di poterlo vedere bollinato dai tecnici della Von der Leyen), non c'è da stupirsi se la nostra posizione negoziale s'indebolisce. 

"Onestamente non credo sia questo il problema. Anche perché il Pnr è stato approvato in Cdm una decina di giorni fa. Diciamo che forse, piuttosto, hanno pesato questioni di credibilità. Visto che da tempo immemore i Pnr sono la fiera delle buone (o financo ottime) intenzioni. Tutti i governi hanno sempre presentato bellissimi Pnr. Solo pochissimi però li hanno tradotti in leggi in Gazzetta ufficiale, e ancor meno quelli che sono riusciti nella fase di implementazione di quelle riforme".

 

A proposito di credibilità: la nostra pare sia abbastanza annacquata anche a causa di una spesa pensionistica assai più alta della media europea, e dell'ostinazione con cui manteniamo Quota 100. Su questo, perfino il responsabile economico del Pd, Emanuele Felice, è arrivato a dire che, nel merito, il premier olandese Rutte ha ragione. Eppure, Quota 100 non si tocca. 

"Quota 100 è stata la politica più populista e più fallimentare della recente storia italiana. Oramai i dati sono disponibili, e ci confermano che ha completamente fallito anche su quell’unico aspetto su cui poteva portare un beneficio (sebbene molto caro), vale a dire il ricambio generazionale nelle aziende e nella Pubblica amministrazione. Le dirò una cosa che la stupirà: non deve essere Rutte ad arrabbiarsi per come sono stati spesi (e saranno spesi, perché tutte le riforme pensionistiche producono effetti per decenni) questi soldi. Ma dovrebbero essere i cittadini italiani a chiedere conto ai politici di aver buttato via miliardi per poter permettere a qualche centinaia di migliaia di 62enni di andare in pensione, indipendentemente che facessero il minatore o il dirigente ministeriale". 

 

Ma in fondo l'intoccabilità di Quota 100 è un po' il simbolo della incapacità di questo governo di segnare discontinuità rispetto al precedente. Decreti sicurezza, politiche attive ancorate al Reddito di cittadinanza, assistenzialismo: per "non fare regali a Salvini", non si finisce con l'essere subalterni al salvinismo, con quel che ne consegue in termini di reputazione del nostro governo in Europa.

"Aveva ragione Gramsci. È tutta una questione di egemonia culturale, prima ancora che politica. In Italia (e non solo) questa è l’era del populismo, inaugurata all’indomani della Grande Recessione del 2008, anche se qualcuno ne fa risalire l’inizio qualche anno più addietro. È chiaro quindi che la maggior parte dei partiti cerca di rincorrere lo slogan più efficace, la proposta più demagogica, fa a gara a ridicolizzare il concetto di vincolo di bilancio e a dire alla gente quelli che tutti sognano di sentirsi dire o promettere. Sono tempi difficili. Italia Viva nasce per mettere fine - e per sempre - all’egemonia populista, il che significa molto di più che la semplice sconfitta di Salvini. Probabilmente ci metteremo più del previsto, ma non ho dubbi che ci riusciremo".

 

Sarebbe già un bel traguardo riuscire a convincere il M5s a votare per il Mes, la cui attivazione forse aiuterebbe a confermare le nostre reali intenzioni di riforma e di rilancio del paese. 

"Aiuterebbe senz'altro a persuadere i nostri partner europei che siamo persone razionali (impresa, lo riconosco, non facilissima). Rifiutare un finanziamento allo 0,08 per cento senza condizioni per accettarne uno al 1,3 per cento è un’azione che sta al di fuori delle categorie della razionalità, non semplicemente della politica. Tra l’altro sta divenendo sempre più chiaro che il Recovery Fund (che i populisti “amano”) avrà molte più condizionalita’ del Mes. È solo una delle innumerevoli follie di questo modo di fare".

 

Ché poi, del resto, davvero "condizionalità" può essere considerata una brutta parola, per chi crede nell'Europa?

"La risposta è semplice. Se si utilizzano risorse comuni (ripagate o garantire da risorse comuni) è ovvio che ci deve essere una accountability di come si spendono. Solo la narrazione populista legge tutto ciò come un sopruso o una violazione di sovranità. Dimenticando che ogni volta che un comune italiano va in dissesto, lo stato italiano impone condizionalità al cui confronto Rutte è un agnellino. E ciò non impedisce comunque che parta il ritornello 'basta salvare chi non è in grado di gestire un bilancio'. E poi, diciamoci la verità: io avrei pagato oro per avere condizionalità europee nel 1973 (quando il parlamento approvò le baby pensioni) o negli anni 80 (quando all’indomani del terremoto dell’Irpinia un fiume di miliardi affluì alla criminalità organizzata invece che ai terremotati)".

 

E col nuovo scostamento, che fare? Come andrebbero utilizzati, quei 10 o 20 miliardi di maggiore deficit che il Parlamento sarà chiamato ad autorizzare?

"Abbiamo proposto una misura semplice: invece di limitarsi semplicemente a continuare a rifinanziare la cassa integrazione, usiamo le risorse dello scostamento per una massiccia decontribuzione per le aziende che escono dagli ammortizzatori sociali. Solo così si innesta una vera ripartenza. E magari approfittiamone per, finalmente, creare un unico ammortizzatore sociale, la cui erogazione sia semplice e diretta. Non possiamo più permetterci la confusione tra Cassa ordinaria, straordinaria, in deroga, fondo integrazione salariale ecc e le farraginosità gestionali che ne derivano".

 

Riformismo, insomma, non necessariamente è "il meno peggio" a cui tendere.

"Un altro mondo è possibile. Non quello di chi vive negli anni Settanta del secolo scorso, ma quello di chi pensa che la globalizzazione non significhi solo pandemie e crisi finanziarie, ma anche la più grande opportunità per liberare l’Italia dalle catene dello statalismo e del conservatorismo. Senza lasciare indietro nessuno ma assicurandoci di dare a tutti sia le opportunità sia gli strumenti per coglierle, senza essere ostacolati da un potere pubblico che - lungi dall’aver imparato a fare bene il suo essenziale mestiere - pretende di fare pure il mestiere degli altri".