proporzionale subito
Zingaretti vuole l'incidente sulla legge elettorale. Ma nessuno capisce perché
Il segretario del Pd impone al suo gruppo alla Camera un'ulteriore, scomposta accelerazione. L'ansia di dimostrare l'inaffidabilità di Renzi. Ma la strada poi è senza uscita. E tra i deputati Zinga rischia il processo interno
"E niente. S'è messo in testa che dobbiamo forzare fino in fondo". Quando l'ora della sera ormai s'approssima, il contrordine del contrordine risuona come una beffa, un'aporia, nel capannello dei deputati del Pd. Nicola Zingaretti, a quanto pare, non vuole sentir ragioni: sulla legge elettorale bisogna accelerare, costi quel che costi. Anche ora che è evidente che i numeri per fare il blitz non ci sono, anzi, forse soprattutto ora che i numeri per fare il blitz non ci sono. Perché nella prima commissione di Montecitorio, quella della Affari costituzionali dove dovrebbe andare in scena la prova muscolare del Pd, c'è stato un rimescolamento di seggi. Questione di complicati regolamenti parlamentari, che ridotti all'osso suonano così: il M5s, avendo subito un'emorragia di deputati, deve perdere un seggio; Italia viva e il Misto, le cui componenti sono invece cresciuti, ne guadagnano uno a testa. L'imboscata che doveva avvenire sulla base di un solo voto di maggioranza non si può più fare. Ma il segretario non vuole rassegnarsi, pretende che si voti subito sul Germanicum, il proporzionale con soglia di sbarramento al 5 per cento, anche se non è materialmente possibile, e così getta nello sconcerto tre quarti del suo partito. Che s'interroga sul perché dell'operazione, sulle intenzioni del segretario, e non capisce. "Non capite che senso abbia semplicemente perché un senso, questa roba, non ce l'ha", sbotta a metà pomeriggio Matteo Orfini, che nel proporzionale ci crede davvero, e non da ora, "e so che così invece si finisce per affossarlo".
Poche ore prima, a metà mattinata, il presidente della Affari costituzionali, il grillino Giuseppe Brescia, ha tirato il freno a mano. C'è bisogno di formalizzare il nuovo assetto della commissione, la sua collega Bilotti, del M5s, deve ufficializzare il suo addio. Meglio rimandare, meglio ritardare l'iter di approvazione, che prevede l'approdo in Aula del testo entro il 27 luglio. "Mi riservo di chiedere al presidente Fico di posticipare l'avvio della discussione in Assemblea". Anche perché, nel frattempo, il Misto – che in questa partita gioca il ruolo di ago della bilancia – ha deciso che a occupare il seggio ulteriore che gli spetta sia Alessandro Colucci, uomo vicino a Maurizio Lupi e contrario alla svolta proporzionalistica. "Rimandiamo tutto alla alle calende greche", si confortano a quel punto i deputati del Pd.
E invece niente. Dal Nazareno arriva il messaggio perentorio: forzare. Bisogna pretendere il voto la prossima settimana, e dunque già domani bisogna votare, nell'ufficio di presidenza della Affari costituzionali, un calendario più snello. Ma i voti, domani, non ci saranno. E allora? Graziano Delrio, rassegnato a far rispettare la linea del segretario, raduna un gruppo dei suoi che gestiscono il dossier: c'è il relatore della legge sul Germanicum Emanuele Fiano, il capogruppo in commissione Stefano Ceccanti e pochi altri. Alcuni chiedono addirittura una riunione del gruppo. "E' inaccettabile che non ci sia stata nessuna discussione reale nel partito, alcun coinvolgimento della pattuglia parlamentare", sbotta Fausto Raciti. Ma Delrio si vede già scorrere il film davanti agli occhi: un'assemblea, con questo clima, si trasformerebbe in un processo al segretario, la sottile linea del Nazareno verrebbe smentita. Meglio evitare. E così domani, o venerdì, si andrà a votare sapendo di non poter fare la forzatura auspicata da Zinga.
Il quale, ha modo suo, rivendica una ragione innegabile. L'accordo sul proporzionale era alla base della formazione del nuovo governo. Il Germanicum è la legge che serve per evitare che chi vince governi coi pieni poteri, ed è anche l'unico correttivo possibile alla distorsione della rappresentanza che ci sarà col taglio dei parlamentari. Matteo Renzi, a gennaio, aveva firmato quel patto. E ora se l'è rimangiato in nome del maggioritario: "Vogliamo il sindaco d'Italia". Mossa che all'ex premier serve per poter poi ricattare, al momento del voto, il Pd, farsi garantire dei collegi sugli uninominali che col proporzionale verrebbero aboliti. Ma per Zingaretti non esiste. Dritti e compatti verso il Germanicum, allora. Se non fosse per quel dettaglio che sono i voti in Parlamento, e che al momento non ci sono. E costringono allora a interrogarsi sul perché della mossa.
Per alcuni Zingaretti vuole dimostrare l'inaffidabilità di Renzi così da negargli qualsiasi concessione sulle presidenze delle commissioni: ma il gioco vale la candela? Per altri l'obiettivo sarebbe quello di chiudere con Italia viva, costringerla a sfilarsi dalla maggioranza per poter essere sostituta da Forza Italia: "Ma noi fino alle regionali di settembre dovremo restare nel centrodestra", dice l'azzurro Osvaldo Napoli. O magari Zinga vuole aprire il dialogo addirittura con la Lega, su quella variante del proporzionale che è il modello spagnolo e che un tempo Matteo Salvini piaceva. "Ma dovremmo affossare un accordo acquisito col M5s per andare a cercarne uno eventuale con la Lega?", sbuffa Raciti. O forse, allora, Zinga punta a innescare l'incidente, fare la crisi e ottenere un rimpasto che lo vedrebbe magari nuovo ministro dell'Interno. Tutte ipotesi troppo fragili e troppo ambiziose al tempo stesso, però. Per ora semplicemente, come dice Orfini, "un senso non c'è ed è inutile cercarlo".