grillismo sui social
Così i leoni da tastiera del M5s si fanno agnelli per evitare grane legali
L'ultimo è stato Davide Barillari (espulso ad aprile): insultò Renzi e adesso si scusa per i "toni del messaggio". I casi Di Maio e Di Battista, l'oltranzismo della Castelli
Quanto costa insultare liberamente Matteo Renzi? E' una domanda che andrebbe posta a Davide Barillari, consigliere regionale del Lazio espulso dai 5 stelle lo scorso aprile dopo 10 anni di militanza. Ieri sulla pagina Twitter di Barillari è comparso uno status piuttosto insolito: lo stesso che era arrivato a chiedere le manette per i genitori dell'ex premier ha ammesso, di tutto punto, “di aver esagerato nei toni” di un tweet dell'agosto 2019, e ha chiesto “scusa a Renzi”. Lo stesso a cui, qualche mese fa, dava garbatamente della "faccia da scemo".
In un tweet del 27 agosto 2019, in piena crisi di governo, essendo io contrario ad un'ipotesi di accordo fra il M5S e il PD, ho utilizzato nei confronti di Renzi un'espressione non appropriata. Ammetto di aver esagerato nei toni del messaggio e chiedo scusa a Matteo Renzi
— Davide Barillari #R2020 Consigliere Regione Lazio (@BarillariDav) July 22, 2020
Erano le settimane in cui i duropuristi a cinquestelle smaniavano per impedire l'accordo col Pd, rappresentato da Barillari come "la piovra", "il partito di Bibbiano e di mafia capitale" guidato da "Nicola er saponetta Zingaretti". Al Nazareno chissà come la presero. Renzi invece passò alle vie legali. E infatti le scuse di Barillari, ora, servono principalmente a risolvere transattivamente una querela. D'altronde, è un metodo che i grillini hanno usato spesso in passato. Leoni da tastiera che sotto l'ammonticchiarsi delle carte bollate si trasformano in miele.
Nell'ottobre del 2017, chi seguiva le pagine Facebook di Alessandro di Battista e Luigi Di Maio a un certo punto si imbattè, a distanza di poche ore l'uno dall'altro, in un messaggio tutto da decrittare. Recitava: “La competenza professionale di chi ha redatto il ricorso in Sicilia è fuori discussione”. Anche qui, senza il supporto di un contesto esplicativo, parve un hackeraggio. E invece, come spiegarono i conoscitori dei cinque stelle, era il semplice arretramento, pura strategia legale, per evitare più succose richieste di risarcimento e arginare potenziali querele da parte di Lorenzo Borrè, avvocato siciliano che aveva assistito prima Marika Casamattis, candidata a Genova con i cinque stelle ma poi esautorata dallo stesso Grillo, e Mauro Giulivi per l'appunto nella famosa compilazione delle liste alle regionale isolane. I due big del movimento gli avevano dato dell'azzeccagarbugli e lui giustamente aveva preteso un dietrofront: richiesta accordata per non rimetterci di tasca.
La competenza professionale di chi ha redatto il ricorso per le regionarie siciliane è fuor di discussione.
Pubblicato da Luigi Di Maio su Lunedì 30 ottobre 2017
C'è però anche chi ha preferito non piegarsi alla giravolta testimoniale, come Laura Castelli. Il viceministro all'Economia nel 2016, quando era deputata e nella sua Torino si votava per il nuovo sindaco, pubblicò una foto di Piero Fassino abbracciato a una donna titolare di un'azienda vincitrice di un appalto indetto dal comune. Il messaggio diceva: “Che legami ci sono tra i due?”. Per quel contenuto la Castelli è andata a processo per diffamazione aggravata, con altri 18 suoi follower che espressero giudizi diffamatori su internet. E pensare che, emulando i suoi vertici, sarebbe bastato poco per smentire il proprio oltranzismo e in due righe far leggere ai propri seguaci che, pur di evitare rogne, a scusarsi sono buoni pure loro. Seppur strumentalmente.