Ferite del nord. La Lega finisce nella trappola letale dell'autonomia
Salvini ha moltiplicato le frustrazioni di quella parte del suo elettorato che al Nord continua a desiderare più autogoverno
Nelle ultime settimane i sondaggi non danno più a Matteo Salvini le soddisfazioni di un tempo. La Lega rimane certo forte ed è sempre il primo partito (intorno al 26 per cento); ugualmente è piuttosto lontana dai massimi che aveva raggiunto. Di tutta evidenza qualcosa non funziona più e probabilmente l’erede di Umberto Bossi non paga soltanto il prezzo delle errate valutazioni compiute nella scorsa estate, quando cercò di ottenere i “pieni poteri” e aprì la strada all’accordo tra i Cinquestelle e il Pd. Da animale politico assai astuto quale è, Salvini aveva costruito la propria fortuna muovendo da un calcolo sostanzialmente corretto. Si era infatti reso conto che in Italia c’è un enorme spazio elettorale per un partito leaderistico e “securitario”, volto ad offrire soluzioni demagogiche in ambito economico e sociale (dall’innalzamento del prezzo del latte dei pastori sardi alle pensioni anticipate di “quota 100”), patriottico e perfino nazionalista, ma soprattutto focalizzato sulla lotta all’immigrazione extracomunitaria. Non è senza significato che un interessante sondaggio dello scorso autunno, che aveva chiesto a un campione di italiani cosa voterebbe se ci fossero ancora sulla scena i partiti della Prima Repubblica, abbia segnalato come oggi la formazione “storica” più apprezzata sia il Movimento sociale di Giorgio Almirante. Alla luce di questo si può dire che la Lega salviniana abbia in qualche modo intuito come quella sensibilità sia radicata nel paese, ed essa è cresciuta guardando a quell’elettorato. Oggi, però, Salvini sta un po’ scivolando verso il basso proprio mentre al suo fianco cresce sempre più il consenso per Fratelli d’Italia, che in qualche poll ha superato perfino i Cinquestelle. Vi è pure chi sostiene che, considerato il maschilismo di una parte della destra italiana, se Giorgia Meloni fosse un uomo i suoi favori sarebbe pure maggiori. Anche così, però, è evidente come non sia affatto scontato che, entro l’ alleanza sovranista, Salvini sarà destinato a detenere la quota di maggioranza. In qualche modo oggi Salvini è costretto a constatare che la Lega da lui reinventata è un partito nazionale integralmente sovrapponibile a Fratelli d’Italia. A quel punto, però, molti elettori probabilmente si sono chiesti se abbia senso orientarsi verso una copia quando da tempo c’era a disposizione l’originale.
Oltre a ciò, i leghisti fanno sempre più fatica a giocare due parti in commedia: perché è chiaro che essi interpretano un ruolo in Lombardia e soprattutto in Veneto (dove mantengono un forte legame con la tradizione autonomista e perfino separatista) e un altro, del tutto differente, a Roma e nel resto del paese. Ma questa schizofrenia non può durare in eterno senza pagare dazio.
Per giunta, proprio il 18 luglio segna il passaggio di ben mille giorni dal referendum sull’autonomia differenziata del 22 ottobre 2017. Come molti autonomisti hanno evidenziato (e a Milano e a Venezia si sono avuto anche manifestazioni in strada, senza la Lega e perfino contro la Lega), questo lasso di tempo è trascorso senza portare il minimo risultato. Eppure Salvini disponeva dei voti decisivi all’epoca del primo governo Conte, quando era grado di ottenere tutto quanto voleva; eppure i due presidenti di Lombardia e veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia (entrambi leghisti), non hanno mai alzato lo scontro istituzionale con Roma al fine di ottenere il rispetto del responso delle urne. E’ chiaro che le priorità erano altre.
La nuova Lega di Salvini ha quindi non soltanto offerto un’ulteriore legittimazione al mondo post-missino, che ora incassa, ma al tempo stesso ha moltiplicato le frustrazioni di quella parte del suo elettorato che al Nord continua a desiderare più autogoverno e, in particolare, una riduzione dei trasferimenti territoriali. Il leader del Carroccio ha sempre dato l’impressione di non considerare a rischio quei voti: può darsi, però, che abbia fatto male i conti. C’è oggi infatti uno spazio che la Lega ha lasciato libero e che qualcuno potrebbe anche facilmente occupare.