Parenti serpenti
Non solo Fontana. Tutte le volte che la famiglia ha messo in difficoltà la politica
La storia del bonifico del governatore della Lombardia in favore della Dama Spa, società del cognato e della moglie, non è un caso isolato. Coniugi, genitori e figli. Dal caso Montesi a Di Maio senior, dal Trota a Tiziano Renzi. Quando i propri cari costano caro
La questione politica di questi giorni è quella che coinvolge il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, finito nel registro degli indagati con l’accusa di frode nelle pubbliche forniture, nell’inchiesta sui 75 mila camici e 7 mila set sanitari che la Dama Spa, società del cognato Andrea Dini (e in cui la moglie del governatore, Roberta, detiene il 10 per cento delle quote) avrebbe dovuto vendere alla regione. Nel 2005, poi, la madre di Fontana, oramai ultraottantenne, era andata alle Bahamas a costituire due trust che detenevano conti svizzeri per oltre 5 milioni di euro, in cui il governatore compariva come “beneficiario”. Soldi “scudati” dieci anni dopo, ma su cui ora i pm faranno accertamenti.
Sempre di queste ore la questione, più prurigionosa che legale, che riguarda i problemi con il trading online di José Alvarez, il fidanzato di Rocco Casalino, e la segnalazione all'Antiriciclaggio della Banca d'Italia per l'ingente acquisto di titoli sui siti di trading. I giornali d'opposizione si chiedono se non ci sia un conflitto d'interesse, considerato il ruolo istituzionale di Casalino, che è portavoce del premier. Ma le vicende che coinvolgono consorti e famiglie non sono casi isolati né novità di questi giorni. Nella storia della Repubblica i guai che hanno travolto mariti e mogli, genitori e figli, hanno più volte deciso il destino di uomini e donne di stato. Eccone una carrellata.
Nella foto Piccioni, Polito e Montagna durante il “Processo Wilma Montesi”.
Era la vigilia di Pasqua del ‘53 quando il corpo della ventunenne Wilma Montesi venne rinvenuto sulla spiaggia di Torvaianica. Il 21 gennaio del 1957 si apriva il processo per la morte misteriosa della giovane, il primo delitto mediatico della storia della Repubblica che sconvolse la Dc e che ancora oggi resta senza colpevoli. Sin dall'inizio, emerse il coinvolgimento di personaggi di primo piano sulla scena politica. Dapprima citati come anonimi (fattore che suscitò ancora di più l'attenzione dei giornali e l'interesse del pubblico), quando i nomi vennero resi pubblici la loro rilevanza rese la vicenda di grande centralità anche per i lettori interessati di politica. La vicenda assunse i tratti di una guerra tra tutti i partiti di maggioranza, ma anche tra fazioni all'interno della stessa Dc. In particolare Attilio Piccioni vide definitivamente compromessa, a causa del coinvolgimento del figlio, la sua promettente carriera politica, e si dimise da ministro degli Esteri nel settembre 1954.
Nel 2018 è iniziato a Roma il processo dove è imputato per riciclaggio Gianfranco Fini insieme con la sua compagna Elisabetta Tulliani, il fratello di lei Giancarlo e il padre Sergio. Al centro della vicenda giudiziaria che riguarda l’ex presidente della Camera c’è la vendita di un appartamento di 45 metri quadri a Montecarlo, lasciato in eredità dalla contessa Annamaria Colleoni ad Alleanza nazionale, che sarebbe stata acquistata, secondo l’accusa, da Giancarlo Tulliani attraverso società off-shore con i soldi dell’imprenditore Francesco Corallo, il “re delle slot”, accusato di associazione a delinquere finalizzata al peculato, riciclaggio ed evasione fiscale. Un’operazione effettuata nel 2008, per poco più di 300 mila euro e che con la vendita dell’immobile nel 2015 fruttò un milione e 360mila dollari.
Sono stati i genitori più famosi d’Italia, una coppia di quasi settantenni che, dal giorno successivo alla discesa in campo del figlio, dopo un’esistenza tranquilla da incensurati doc, finisce nel mirino di pm e giornalisti per vicende legate alla gestione delle aziende familiari. Prima a Genova, per bancarotta, poi a Roma, nell’ambito del caso Consip, Renzi senior viene travolto dal chiasso mediatico-giudiziario, infine archiviato. Nell'ottobre 2019 Tiziano Renzi e Laura Bovoli, i genitori di Matteo Renzi, sono stati condannati a un anno e nove mesi di carcere dal tribunale di Firenze, per aver emesso con la loro società fatture false per un totale di 160 mila euro. La pena è stata sospesa con la condizionale.
È il marzo 2017. Nell'ambito del cosiddetto “scandalo Belsito” e nel processo “The family” il pm Paolo Filippini chiede per Umberto Bossi 2 anni e 3 mesi e 700 euro di multa per appropriazione indebita dei fondi del partito. È coinvolto anche il figlio Renzo – detto “il Trota” – per il quale vengono chiesti 1 anni e 6 mesi (l'altro figlio Riccardo con rito abbreviato era stato condannato alla stessa pena). Bossi senior avrebbe speso 208 mila euro di fondi del partito per sue esigenze personali. Il 10 luglio l'ex leader del Carroccio viene condannato. Nel 2019 si chiude il processo per i Bossi poiché la IV Corte d’appello di Milano ha disposto il non luogo a procedere in virtù della mancata querela presentata nei loro confronti da parte della vittima )cioè la Lega) in base a una norma introdotta dal governo Gentiloni. Il Carroccio guidato da Matteo Salvini aveva denunciato solo l'ex tesoriere Francesco Belsito che è così l'unico condannato.
“Quando l'inchiesta venne alla luce finì su tutte le prime pagine, sembrava che avessero scoperto una nuova Cupola, mi ricordo anche la puntata di Report... Invece quando hanno archiviato tutto ne ha parlato solo il Corriere fiorentino. Ma così va il mondo”. Così disse Maurizio Lupi quando finì nel nulla anche il troncone milanese dell'indagine che gli era piombata addosso quattro anni prima e che lo portò alle dimissioni. L'ex ministro alle Infrastrutture, ciellino passato dal Pdl all'Ncd di Alfano, e approdato al governo con Renzi, era stato tirato in ballo dalla procura di Firenze per una telefonata con il manager di stato Ercole Incalza (“deve venirti a trovare mio figlio”, diceva il ministro in un'intercettazione) e per un Rolex da diecimila euro regalato da un indagato a Lupi junior per la laurea. Per sottrarre il figlio dal bombardamento mediatico Lupi si era dimesso da ministro. L'indagine poi è finita con l'archiviazione.
Il centrista Clemente Mastella ha subìto decine di inchieste e di processi. È stato assolto quindici volte su quindici e i pubblici ministeri hanno chiesto nei suoi confronti condanne per un totale di addirittura 100 anni di carcere. Il caso più celebre riguarda l’inchiesta che lo travolse nel 2008, costringendolo alle dimissioni da ministro e contribuendo alla caduta del governo Prodi. La vicenda coinvolse anche sua moglie, Sandra Lonardo. Nove anni dopo sono stati entrambi assolti con formula piena, insieme all’ex consuocero Carlo Camilleri, gli ex assessori Nicola Ferraro e Andrea Abbamonte.
Nel gennaio scorso sono state depositate le perizie sui telefonini con i quali Ciro Grillo e i suoi amici avevano filmato un rapporto sessuale con una ragazza – conosciuta al Billionaire, il locale vip di Flavio Briatore – che li accusa di violenza sessuale. Il presunto stupro sarebbe avvenuto la notte del 16 luglio scorso nella villa di Porto Cervo del padre Beppe Grillo, fondatore del M5s. La versione della ragazza è di essere stata violentata a turno dai giovani, che invece sostengono che lei era consenziente.
“Sono semplicemente un piccolo imprenditore che ha commesso degli errori”. Così nel dicembre 2018 Antonio Di Maio, il padre dell'allora vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi, in un video su Facebook si scusava per la vicenda tirata fuori dalle Iene sull'azienda di famiglia. “Chiedo scusa alla mia famiglia per i dispiaceri che hanno provato e chiedo scusa anche agli operai che hanno lavorato senza contratto per la mia azienda alcuni anni fa. Mi dispiace per mio figlio Luigi che stanno cercando di attaccare, ma lui non ha la minima colpa e non era a conoscenza di nulla”. Secondo la trasmissione tv, il padre del capo politico del Movimento 5 stelle, imprenditore edile, avrebbe pagato in nero per due anni uno dei suoi operai.
Un altro affare di famiglia agita le acque dei vertici del M5s. Dopo Di Maio tocca al nerissimo Vittorio Di Battista, padre del “Che de noantri” Alessandro. La storia riguarda la società di famiglia Di.Bi.Tec srl, finita sotto la lente del Giornale per il bilancio 2016, dove emerge un’azienda piena di debiti verso le banche, verso i fornitori e anche verso i dipendenti. Arriva poi, con un servizio delle Iene, la notizia che anche Dibba senior ha un dipendente in nero. “Qualche giorno fa ho saputo da mio padre che c'è un lavoratore in nero nella sua azienda. Mi sono incazzato, è una cosa profondamente sbagliata”, ha scritto il figlio su Fb. “Non si deve fare ma, a volte, le circostanze ti ci costringono”, la replica del padre.
“So cos’è la gogna mediatica, l’ho vissuta con mio padre”, diceva al Foglio Maria Elena Boschi. “L’ha vissuta dolorosamente tutta la mia famiglia. C’è una questione irrisolta nel nostro paese e riguarda l’uso politico dei fatti giudiziari, sui quli s’imbastiscono processi in pubblica piazza”. Il 18 dicembre 2015 la Camera respinse (con 129 sì e 373 no) una mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 stelle a seguito del cosiddetto decreto "salva banche" emanato nel novembre di quell'anno. Tra le quattro banche messe in liquidazione attraverso il decreto figurava infatti Banca Etruria, di cui il padre di Boschi era vicepresidente al momento del commissariamento nel febbraio precedente, mentre il fratello fino al marzo 2015 era stato responsabile del “cost management”. L'authority dell'Antitrust, sollecitata a pronunciarsi sulla vicenda, ha rilevato che “non sussiste alcuna circostanza in base alla quale il ministro abbia partecipato all'adozione di alcun atto con danno dell'interesse pubblico”.