C’è un gigantesco tema politico che in questi mesi di gestione della pandemia è emerso in modo per così dire poderoso sulla timeline degli economisti di tutto il mondo. Il tema sarà forse meno accattivante delle peripezie finanziarie dell’ex fidanzato di Rocco Casalino e delle scombiccherate tesi difensive di Attilio Fontana ma ha una sua centralità indiscutibile che è stata messa a fuoco con intelligenza dall’ultimo numero dell’Economist. A voler essere brutali, si potrebbe dire che il punto è questo: cari economisti di tutto il mondo, cari liberisti, cari statalisti, cari keynesiani, cari friedmaniani, cari sostenitori dello stato pesante, cari sostenitori dello stato leggero, cari sostenitori del rigore, cari sostenitori dell’austerità, cari sostenitori dello stato spendaccione, cari nemici dell’inflazione, spiace per voi, ma questa stagione non sembra avere le caratteristiche giuste per offrire la giusta cittadinanza alle vostre dottrine. L’Economist, naturalmente, lo dice in modo più sofisticato di come ve lo diciamo noi e lo dice prendendo atto di quattro verità difficili da negare emerse negli ultimi mesi: l’utilizzo ormai pressoché discrezionale da parte degli stati più ricchi del debito pubblico (l’Fmi prevede che i paesi più sviluppati prenderanno in prestito nei prossimi mesi circa il 17 per cento del loro pil per trovare risorse pari a 4,2 triliardi di dollari), l’acquisto massiccio seppure indiretto di debito da parte delle banche centrali (non vale solo per la Bce), la presenza più robusta di un tempo dello stato in economia (in America la Federal reserve, insieme con il Tesoro, è entrata nei mercati finanziari, acquistando le obbligazioni di AT&T, di Apple e persino di Coca-Cola) e la fine delle teorie economiche costruite mettendo al centro di tutto il termometro dell’inflazione (che un tempo era il target principale e unico delle banche centrali e oggi non lo è più). Non si sa se la fotografia scattata dall’Economist sarà una fotografia che resisterà nel tempo. Ma ciò che invece si sa è che la stagione che si è aperta anche in Italia (dove a giorni verrà votato uno scostamento di bilancio di 25 miliardi di euro e in totale sono 100 miliardi di scostamenti votati nel 2020) è una stagione all’interno della quale la politica economica che vincerà sarà quella capace di creare una sintesi tra le vecchie teorie e le nuove necessità.
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