maggioranza in tilt
Così il caos grillino trasforma il rinnovo delle presidenze di commissione in un rodeo
Al Senato la maggioranza va sotto in commissione Agricoltura e Giustizia. E Montecitorio è in subbuglio. Il nodo Marattin, le trame della Boschi. Ma nel M5s è guerra, tra diserzioni e minacce incrociate
Roma. Che all'appuntamento ci si stesse arrivando correndo troppo e senza certezze, viaggiando un po' a fari spenti nella notte, lo sospettavano in tanti, in Transatlantico. E infatti, quando dal Senato arriva la notizia che l'imboscata è riuscita, che quel maneggione di Gian Marco Centinaio è riuscito a convincere gli ex grillini (e anche un paio di grillini attuali) a votare contro l'ordine di scuderia, confermando così il leghista Vallardi presidente della commissione Agricoltura al posto del prescelto a cinque stelle, Pietro Lorefice, nessuno s'è stupito più di tanto. Era inevitabile che succedesse. E subito dopo crolla anche la diga in Giustizia, dove del resto si sapeva che Pietro Grasso, di Leu, era a rischio: e infatti viene riconfermato il leghista Andrea Ostellari. E allora Luigi Di Maio, insieme a tutti i ministri grillini, arriva trafelato a Montecitorio per votare lo scostamento, raduna i suoi e prova a calmarli, a fare chiarezza. Ma l'impresa, ancora in corso, è assai ardua-
Tra i deputati del M5s, d'altronde, ieri sera mugugni erano talmente tanti, i puntigli erano così infantili, che perfino alcuni di loro hanno perso le staffe. “Guardate che anche a noi – ha sbottato Diego De Lorenzis, durante la riunione di gruppo a Montecitorio – dovremo turarci il naso, per votare quella là, ma rispettiamo gli ordini del gruppo”. Quella là, che poi sarebbe Lella Paita, è infatti la presidente designata per la commissione Trasporti. Renziana, e dunque indigesta all’ortodossia grillina. Ma mai come il candidato individuato dalla maggioranza per la presidenza delle Finanze: “Luigi Marattin è uno che ci ha dato dei cialtroni per anni, e noi ora dovremmo sostenerlo?”. E’ quello il nodo: Luigi Marattin.
Nodo che certo non basta una notte a sciogliere. E dunque stamattina ci si è ritrovati sempre lì, a interrogarsi sul da farsi per evitare che l’incidente sulla Finanze ne innescasse altri a catena, fino a un poco controllabile precipitare degli eventi. Il corpaccione del M5s lo detesta, Marattin, e prova a porre il veto. “Ma il veto sui nomi non rientra nell’accordo”, s’impunta allora Maria Elena Boschi. “Perché se noi dovessimo valutare nel merito la qualità dei candidati grillini – spiega la luogotenente di Iv – la lista dei divieti sarebbe lunghissima”. E quindi Davide Crippa, capogruppo alla Camera del M5s, si ritrova costretto a minacciare addirittura di sostituire i suoi esponenti che, in Finanze, si rifiutano di votare Marattin. Giulodori, Maniero, forse anche Currò. E poi c’è Carla Ruocco, già presidente di quella commissione, che dice di avere a disposizione tre voti: “I miei Marattin non lo votano”. E allora la Boschi fa il giro largo: potrebbe spostare Marattin alle Attività produttive, magari, per ottenere al contempo la Finanze del Senato, con Mauro Marino. E invece, pacta sunt servanda, insiste: blinda l’accordo, o tenta di farlo, garantendosi i voti degli esponenti di Forza Italia, almeno tre, che in Finanze si sottraggono alle trame dei leghisti che, fiutata la puzza di bruciato, prova a organizzare l’imboscata coinvogliando tutti i voti che trova sull’ex grillino Raffaele Trano, che già qualche mese fa aveva scippato al suo collega Grimaldi. E la stessa cosa succede per la Trasporti: anche qui la Paita, che subisce il lavoro ai fianchi anche di un pezzo del Pd – Luca Lotti gli farebbe volentieri lo sgambetto, Davide Gariglio, che a quella presidenza ci puntava, forse s’ammutina – ce la farebbe solo coi voti di una pattuglia di riserva di berlusconiani. Immagine di un partito, Iv, che a furia di starci con un piede solo, nella maggioranza, rischia infine di venirne estromesso nella spartizione delle poltrone, e che pure per ottenere il minimo sindacale (all’inizio i renziani chiedevano la Bilancio e la Affari costituzionali, s'accontenteranno di quattro commissioni, tra Camera e Senato, di seconda fascia) è costretto alle capriole sul filo, interrogandosi se a questo punto non sia davvero il caso di chiamarsi fuori da questa corsa allo sfinimento e cercare nuovi spazi all’opposizione.
Ma in fondo è tutto in subbuglio: sul rinnovo delle presidenze di commissione, su cui si sgomita e si contratta da due mesi almeno, si scaricano tutte le tensioni tra alleati riluttanti, dirimpettai litigiosi. Per la Ambiente, ad esempio, il Pd aveva pensato a Del Basso De Caro. E allora subito i grillini sono andati dai leghisti a prospettargli l’indicibile accordo: “Aiutateci ad affossarlo”. Poi il Pd ha cambiato. E il solito Lotti, dopo aver tentato invano di imporre il suo Piero De Luca alla presidenza della Affari europei (con tanto di incontri carbonari coi grillini), s’è intrufolato nella Ambiente: “Ecco, Piero è la persona giusta”. Se non fosse che Piero, però, è anche figlio di quel Vincenzo De Luca che ai grillini campani fa venire il sangue agli occhi. E quindi niente: non s’ha da fare.
Anche perché, dal Senato, nel frattempo arriva la notizia che l’intesa s’era chiusa già. E Andrea Marcucci, a quanto pare, s’è scordato le quote rosa: solo la Pinotti alla Difesa, per il resto i prescelti sono tutti uomini: D’Alfonso in Finanze, Parrini in Affari costituzionali, Stefano agli Affari europei. E allora alla Camera tutto s’ingarbuglia e all’Ambiente va la Rotta. Ma nell’ansia di non passare per sessisti, si finisce pure per mettere in discussione la Attività produttive, che dopo tanto contrattare (anche qui i grillini in ordine sparso, divisi tra Giarrizzo e Carabetta) era destinata a Gianluca Benamati, che d’improvviso si vede insediato da Martina Nardi.
Insomma, un caos. A cui ovviamente il M5s contribuisce con un sovrappiù di autolesionistico zelo. E così Leonardo Donno, capogruppo dei grillini in quella commissione Bilancio che dovrebbe finire sotto la guida del franceschiniano Fabio Melilli, a metà pomeriggio alza la voce: “Secondo me il direttivo, Crippa e Ricciardi in primis, hanno fatto accordi al ribasso non facendo valere la forza parlamentare del M5s, di fatto non tutelandolo. E dunque io, per come sono state condotte le trattative, mi dimetterò da capogruppo”. Se non fosse che a dimetterlo c’hanno già pensato i suoi colleghi, giorni fa, con una votazione interna che lui ha contestato, chiedendo inutilmente il riconteggio delle schede. Nel frattempo, i grillini della commissione Esteri, piuttosto che rassegnarsi a votare Piero Fassino, scrivono una lettera di proteste a Crippa, e la consegnano alle agenzie. Che si sappia che loro, all'unanimità, condannano l'accordo politico. E alla Camera si comincia tra poco, a votare. E ci si arriva così: a fari spenti nella notte. "Meglio rinviare", scrivono in chat i deputati del M5s. "Se si va avanti così, si rischia il bagno di sangue".