La decisione del Senato di votare a favore dell’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini per il caso Open Arms proietta la diciottesima legislatura in una stagione all’interno della quale il tema della discontinuità dalle trucissime politiche adottate sul terreno dell’immigrazione dal governo gialloverde diventa qualcosa di più di una semplice manifestazione di intenti. In molti proveranno a curvare i propri ragionamenti relativi al voto accusando la maggioranza di aver compiuto una scelta dettata dal giustizialismo – chiamare a rispondere della legge un ministro che decide deliberatamente di ignorare la legge per questioni legate più alla propaganda personale che all’interesse nazionale, dimenticando che l’obbligo di salvare la vita umana di chi si trovi in situazione di pericolo in mare prevale su ogni altra norma nazionale, non è disprezzo per il garantismo ma è semplicemente rispetto dello stato di diritto. Ma ciò che costituisce la vera ciccia del voto di giovedì ha a che fare con un tema più interessante che riguarda un aggiornamento della battaglia combattuta già lo scorso anno dal Parlamento contro la politica dei pieni poteri. Il Senato ha detto no a un’idea pericolosa per una democrazia matura, ovverosia l’idea che i voti ricevuti da un politico possano permettere a quel politico di essere considerato al di sopra della legge, e nel farlo i senatori della maggioranza hanno di fatto investito l’esecutivo di un mandato esplicito oggi non più derogabile: superare definitivamente sul terreno dell’immigrazione la stagione del salvinismo.
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