Via giudiziaria no, grazie. Nella vivacissima estate di passione in cui proverà a districarsi la politica italiana, tra gestione della pandemia, progetti per il recovery fund, campagna per le regionali, ritorno dell’immigrazione, polemiche sui barboncini, sovranisti a processo e scazzottate tra alleati di governo, c’è un doppio tema identitario con cui l’unico partito dotato di calzoni lunghi all’interno dell’esecutivo dovrà fare i conti. E i temi in questione coincidono con due questioni chiave, politicamente vitali. Il primo tema ha a che fare con la gestione dell’immigrazione, il secondo tema ha a che fare con la gestione della questione settentrionale. I due temi possono apparire come molto distanti l’uno dall’altro, ma presentano una pericolosa caratteristica comune, che se presa sotto gamba rischia di mortificare il profilo riformista del Pd: la tentazione di affrontare i due temi percorrendo la suicida via della scorciatoia giudiziaria. Sul primo punto la questione è chiara ed è fin troppo scontata e non ci vuole molto a capire che il Pd oggi si trova di fronte a un bivio importante. Da una parte c'è la possibilità di trasformare il processo a Salvini, sul caso Open Arms, in una formidabile arma per aggredire il trucismo con le armi della giustizia mediatica, trasformando così il senatore della Lega non semplicemente in un politico irresponsabile ma più direttamente in un furfante fino a prova a contraria.
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