Roma. Se ci si deve fidare dei pettegolezzi che filtrano da Palazzo Chigi, allora viene da pensare che gli eventi vanno prendendo una piega grottesca e un poco misera. Perché quelle che a inizio mattinata vengono descritte, con toni perentori, “dimissioni”, dopo pranzo diventano “minacce vaghe”, scadono a “rimostranze”: insomma, “disponibilità a rimettere le deleghe”. Al che si capisce che la situazione potrebbe pure diventare grave, ma di certo non sarà seria. Vincenzo Spadafora, cioè, sarebbe ora intenzionato a rimettere le competenze istituzionali sullo sport, ma comunque restando ministro delle Politiche giovanili. Roba forte, insomma: roba da cuori impavidi. E diventa chiaro, allora, che la sostanza politica dello scontro in atto non sta tanto nel testo della riforma, che pure è stato oggetto di scandalo nei giorni passati, ma negli equilibri periclitanti all’interno del governo. Come che sia, no: la crisi a metà agosto, per gli accessi d’ira di qualche deputato del M5s e per gli e gli eccessi di zelo di qualche funzionario ministeriale, non ci sarà. Quello che emerge, invece, è la voglia di Spadafora, fedelissimo di Luigi Di Maio ma vissuto da sempre come un corpo estraneo dall’ortodossia grillina, di ottenere una copertura politica. Da Giuseppe Conte nell’immediato, e dalle gerarchie burocratiche romane in futuro.
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