Manco la pavidità, manco le astruserie criptosovraniste del grillismo, valgono a spiegare certi ritardi, certe inconcludenze. Quella sulla modifica dei decreti sicurezza, ad esempio, è un'attesa ormai grottesca. Era metà novembre del 2019 quando Nicola Zingaretti, da Bologna, fece il lieto annuncio: "Non solo modificheremo i decreti Salvini, ma ci batteremo anche per lo ius soli e lo ius culturae". Ad abundantiam. "Perché gli italiani – spiegò il segretario del Pd – stanno molto più avanti del Parlamento". E d'altronde ci voleva poco, perché il Parlamento in effetti non s'è mosso, da allora. Molte discussioni, tante buone intenzioni, vertici e riunioni: ma il tavolo di confronto aperto al Viminale inizialmente a febbraio, poi aggiornato a giugno, quindi protrattosi per settimane tra dichiarazioni di buona volontà del viceministro dem Matteo Mauri e conseguenti irrigidimenti del M5s, come risultato finale ha prodotto un testo su cui, con tutta calma, si tornerà a discutere dopo le vacanze. Anche perché, a ben vedere, una grossa parte di quei decreti è stata già smontata dalla Corte costituzionale, e attendere un mese in più non è una gran sciagura. Se ne riparla a settembre, insomma: il che è sorprendente, a ben vedere, dal momento che i decreti sicurezza regolano anche la gestione dei migranti, e i flussi di barconi e barchini raggiungeranno il loro picco d'intensità ad agosto, per via del mare calmo e della Tunisia in subbuglio.
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