Ecco chi sarà il nuovo prefetto di Roma. Un ritratto di Matteo Piantedosi
Le origini, il padre amico di Fiorentino Sullo, la sua esperienza decisiva a Bologna con Annamaria Cancellieri. La passione per la bici. La scalata di Matteo Piantedosi. Sulla nomina gaffe di Virginia Raggi
Capo di gabinetto del ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, e da domani nuovo prefetto di Roma al posto di Gerarda Pantalone. A suggerire, in cdm, il nome di Matteo Piantedosi è stato lo stesso ministro, ex prefetto come lui. Piantedosi ha occupato la carica di capo gabinetto anche con Matteo Salvini ed è l'uomo che ha gestito il complesso dossier immigrazione nel Conte I e nel Conte II. Il Foglio, un anno fa, dedicò a Piantedosi un ritratto che qui ripropone. Origini, aneddoti, passioni, amicizie.
Ps. da segnalare la gaffe istituzionale della sindaca di Roma, Virginia Raggi, che avrebbe già fatto gli auguri malgrado il cdm sia ancora in corso. Si tratta di un passaggio formale, un problema di codice. Da quando i sindaci sono al di sopra del consiglio dei ministri?
Hanno scritto che era l’ombra di Matteo Salvini al Viminale, ma nessuno ha ancora detto che sopravvivrà al mondo dopo Salvini. Nominato capo gabinetto del ministero dell’Interno, Matteo Piantedosi ne esce promosso ministro, causa vacatio titolare per ferie, l’unico ancora in cravatta anziché sfiduciato e in costume. E infatti più il leader della Lega si assentava dal suo ufficio e più Piantedosi ci rimaneva e non solo per formazione (è prefetto), ma anche per origine geografica, per specialità etnologica, quella capacità che hanno gli irpini di resistere e adattarsi nei luoghi più ostili (“Il lupo è il nostro animale totemico e ‘lupi’ sono i calciatori del mio amato Avellino”).
Piantedosi ha 56 anni ed è nato ad Avellino anche se è originario di Cervinara, frazione di Pietrastornina, comune di 1.526 abitanti, dove torna quasi ogni fine settimana, (“Io qui ritorno alle origini e ritorno alla bellezza”, disse in una delle sue rarissime confidenze a un cronista locale e per un evento a lui particolarmente caro, l’inaugurazione di un centro polisportivo per ragazzi). Dietro il cognome Piantedosi si nasconde una delle tante belle e minuscole biografie italiane, quelle che lo scrittore Giuseppe Pontiggia incitava a raccontare.
Il padre dell’uomo che operativamente ha controllato, e controlla ancora, il ministero dell’Interno, si chiamava Mario, è scomparso poche settimane fa, (al funerale l’abbraccio più forte è stato quello di Franco Gabrielli, il capo della Polizia), ed è stato un punto di riferimento, come può essere nelle frazioni il medico, il prete, l’avvocato e appunto il dirigente scolastico. Piantedosi è figlio di un papà preside che, negli anni in cui la scuola era tutto, ha provato a riformarla con buoni consigli e piccoli ammonimenti. Amico di Fiorentino Sullo, ex ministro democristiano della Pubblica istruzione negli anni della contestazione, il padre Mario non ha mai militato da protagonista nel partito, ma ha “simpatizzato”.
“In pratica apparteneva alla squadra della Dc perdente, quella alla quale anche io mi onoravo di appartenere” ricorda Gianfranco Rotondi che è ormai l’Erodoto dello scudocrociato, presidente della Fondazione Dc, che ha avuto modo di conoscere da vicino la famiglia Piantedosi. “Io e Matteo abbiamo frequentato lo stesso liceo, ma in classi diverse. Era dotato, non ha mai fatto politica. In questo caso la sua dote, forse già preparando il futuro, stava nel non occuparsene”, aggiunge ancora Rotondi.
E’ tra i pochissimi che non usano il codice per allontanare una responsabilità ma che hanno il coraggio di assumerla
La scuola è il Vincenzo Coletta di Avellino, che non è un semplice liceo, ma un vero e proprio seminario che ha coltivato professori e giudici dal pensiero apolide e di temperamento fermo. Aperto nel 1831, il Coletta è stato Real Collegio e nel 1857 è stato elevato liceo classico. Sui suoi banchi hanno studiato il ministro Antonio Maccanico, l’ex presidente del Senato Nicola Mancino e due italiani irregolari come Carlo Muscetta, critico letterario e comunista ma fuoriuscito, e il giudice Dante Troisi che con il suo piccolo libro, Diario di un giudice, riuscì a stupire anche lo scettico Elio Vittorini. Piantedosi, come Troisi, è il funzionario cresciuto nella provincia e che la provincia riconosce e a cui tributa “segni di rispetto. Il farmacista sventola una mano, il pizzicagnolo e il macellaio gridano ‘buongiorno’ con l’aria di rammentarti che usano riguardi alla moglie nella spesa”.
La madre di Piantedosi è stata insegnante mentre la moglie, Paola Berardino, è anche lei una donna di prefettura, anzi, viceprefetto a Roma presso l’ufficio legislativo, esperta in integrazione fra lo stato e lo straniero, (“Non è solo una funzionaria preparatissima, ma anche una bravissima esperta di cucina campana” racconta un prefetto che a casa Piantedosi ha pranzato e che ne conosce quindi la carta).
Le altre donne sono le due figlie, studi alla Luiss, università con cui Piantedosi ha un rapporto particolare e dove il 27 febbraio scorso si è un po’ raccontato: “La mia carriera non è iniziata subito in contesti strategici. Dopo il concorso, sono stati proprio i luoghi meno centrali a rivelarsi i più formativi”.
Di centrale, per Piantedosi, c’è la sua permanenza a Bologna dove la sua carriera è iniziata nel 1989 da funzionario, per ritornarci, dopo un intervallo trascorso fra Roma e Lodi (un anno) in veste di prefetto. In Emilia, è rimasto 18 anni occupandosi di pubblica sicurezza, immigrazione, protezione civile. Mario Felicori, ex direttore della Reggia di Caserta e in passato direttore del dipartimento Economia e promozione del comune di Bologna, ha avuto modo di conoscerlo, “e di lui si può dire che è il classico uomo di cui vuoi parlare bene e non riesci a spiegare mai la ragione”.
Una ragione in più ce l’hanno i poliziotti di Bologna che lo ricordano per quella che è stata definita la battaglia della mensa. Negli anni in cui tutte le mense della polizia di stato stavano per passare sotto la gestione dei privati, Piantedosi, rivela un ex agente, ha cercato di ritardare il più possibile questo passaggio. Bologna è stata l’ultima mensa della polizia a essere gestista da privati, ma come ha preteso Piantedosi. Come? “I privati cucinano ma è lo stato ad acquistare le derrate. Era la garanzia che gli agenti volevano: evitare la corsa al risparmio almeno per quanto riguarda le materie prime”. Sono le piccolissime azioni che hanno ingigantito il curriculum di Piantedosi che, tra l’altro, può vantare di essere stato anche docente di materie giuridiche presso l’Università di Bologna.
In un suo vecchio intervento tenuto in ateneo, ha provato a smontare una delle più stupide credenze: “Sento di poter affermare, facendo mia un’analisi del nostro ministro dell’Interno, che non c’è nessun collegamento automatico tra terrorismo e immigrazione”.
La vita di Piantedosi muta nel 2010 quando in città, dopo lo scandalo che costringe il sindaco Flavio Delbono alle dimissioni, arriva Annamaria Cancellieri, non solo un prefetto ma qualcosa di più e che ha bisogno non di un vice, ma di qualcosa di più di un semplice vice. Quella che sarà poi il ministro dell’Interno nel governo di Mario Monti inizia a chiedere: “Fatemi il nome di uno bravo che mi tolga problemi e che non me li aggiunga”.
Tutti le fanno il nome di Piantedosi, vice brillante del prefetto Enzo Mosino, di cui si dice che “non aspetta che i problemi arrivino sul tavolo, ma esce a cercarli e molte volte riesce a risolverli”. E infatti da viceprefetto è riuscito a moderare anche uno come Gianni Tonelli, oggi senatore della Lega, ex sindacalista del Sap, che di lui pensa: “Piantedosi non è un poltronaro”.
Si racconta che di fronte alla Cancellieri – i due diventeranno amici tanto che oggi l’ex ministro a tutti ripete “è uno dei pochi cavalli di razza che ho conosciuto” – Piantedosi abbia spiegato quale sia il maggiore dei guasti italiani. Lo ha fatto attraverso un suo originale apologo – sembra uscito dalle pagine di Italo Calvino – chiamato “L’uomo che doveva prendere il treno”. E qui Piantedosi comincia: “E’ appena uscito ed è ancora in orario. Con la sua automobile si dirige verso la stazione e cerca un parcheggio che naturalmente non trova. Si accorge che un’automobile ne ha appena lasciato uno. Parcheggia e scende dall’auto, ma solo in quel momento scopre il divieto di sosta sopra la sua testa. Risale in auto e continua a girare fino a quando ne trova un altro. Incollerito, accende la sigaretta, ma è già entrato in stazione. Deve spegnerla, ma non può gettarla per terra. Vaga alla ricerca di un cestino, ma la fretta gli impedisce di vederlo. Lo trova finalmente, getta il mozzicone e corre verso il binario, ma a quel punto il treno è partito. Ecco, ha fatto tutto in maniera corretta, ma ha perso il suo treno”. Con questa parabola ha conquistato la Cancellieri che oggi dice pubblicamente: “Piantedosi è uno che il treno di certo non lo lascia partire”.
In quei mesi, i due vengono visti lungo le strade di Bologna, pranzano (poco) nei pressi dell’albergo Roma, prendono (molti) caffè sempre allo stesso bar che iniziano a chiamare in un modo tutto loro, “Il Nocciolino”. E insomma, piano piano non ha solo conquistato quella che sarà poi ministro, ma ha dato prova di qualità anche in campo amministrativo. Nel gennaio 2011, a Bologna bisogna organizzare la serata di Capodanno in piazza e a occuparsene è proprio Piantedosi.
Lo fa sorprendendo tutti e cercando anche sponsor privati. Innanzitutto, insieme alla Cancellieri, dispone il divieto di portare alcolici in piazza. Si rivelerà una scelta che la città prima della mezzanotte non apprezza, ma che subito dopo loda. Ma a stupire è la scelta artistica. “I bolognesi si immaginavano una serata forse con musica un po’ più ideologica e invece lui ha scelto qualcosa di più moderno” ricorda la Cancellieri. Piantedosi sceglie, nella impegnata Bologna, di invitare sul palco i concorrenti di X-Factor insieme a Francesco Facchinetti. Commissario e vice, Cancellieri e Piantedosi, riescono perfino ad approvare il bilancio, ed era la prima volta che si cimentavano, ricevendo i complimenti dei sindacati che alla fine cedono per sfinimento riconoscendo loro la vittoria: “Pensavamo che vi sareste stancati, ma qui i soli a essere stanchi siamo noi”.
Piantedosi, che è di silenzio tenace, ascolta i dischi di Pino Daniele, legge Gabriel García Márquez, Alberto Savinio, quello degli “Uomini di pensiero tornano alla bicicletta” e Nietzsche, uno che diffidava dei pensieri che vengono partoriti in poltrona.
La bicicletta è la sua grande passione (ne possiede cinque da corsa): solo con Felice Gimondi ha ceduto alla vanità di un selfie
Lui stesso ha scalato lo Stelvio, che è sempre meno fatica rispetto alla Pubblica amministrazione. Dopo l’esperienza da sub commissario a Bologna, si è trasferito a Roma dove si è occupato di politiche del personale dell’amministrazione. E’ allora che entra in contatto con il mondo della politica ed è in quel momento che alcuni dirigenti della Lega iniziano a parlare (bene) di lui. Da lì la nomina come prefetto di Lodi, dove però rimane pochissimo. Appena arrivato a Lodi, città che ha amato, volle mettere sulla scrivania alcune fotografie di Bologna, “per ricordarmi che qualcosa di buono ho fatto”, diceva.
Indicata ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri lo ha chiamato al Viminale come vicecapo di gabinetto. Nello stesso periodo, per vigilare su alcune presunte irregolarità segnalate e che riguardano la polizia di stato, Piantedosi viene nominato anche vice direttore generale della polizia dove ha curato progetti di natura europea. “E’ tra i pochissimi ad aver occupato due ruoli e a quell’età. Sono ruoli destinati a funzionari più anziani” dice un ex capo gabinetto del ministero. Piantedosi in quei ruoli ha dimostrato che un buon prefetto deve conoscere il diritto ma senza impiccarsi al diritto. In una parola, è tra i pochissimi che non usano il codice per allontanare una responsabilità ma che hanno il coraggio di assumerla. Lo ha fatto anche un anno fa, quando Salvini decise di impedire lo sbarco della nave Diciotti al porto di Catania. La decisione operativa venne fatta risalire a Piantedosi che è stato inizialmente indagato insieme a Salvini.
Tra i momenti più drammatici di Piantedosi tutti dicono esserci stato l’assassinio di Marco Biagi con le sue continue richieste in prefettura per vedersi riassegnata la scorta. Erano gli anni in cui, a Bologna, c’era lui. Nonostante il tempo trascorso, rivela un prefetto, “quella vicenda non si è cicatrizzata. Biagi rimane, e non solo per Piantedosi, quello che è stato Aldo Moro per la Dc. Un fallimento del sistema”. E sicuramente l’altro momento è stato la scomparsa, prematura, dell’ex capo della polizia, Antonio Manganelli, di cui Piantedosi era amico e con cui scherzava in geografia, “tu appartieni al gruppo dei beneventani ma non dimenticare che io faccio parte degli avelliniani”.
Manganelli non ha fatto in tempo a vederne la scalata. Oggi c’è chi si azzarda a dire che Piantedosi sia lontanissimo dalle idee politiche di Salvini (un prefetto anche se le ha non le può dire) ma che sia lucido altrettanto da riconoscere che l’emergenza migranti sia una emergenza d’epoca da affrontare con strumenti nuovi. Insomma, Piantedosi rischia di essere il tesoro scoperto tra le rovine del Viminale. Non più l’ombra di Salvini, ma quello che può scacciare le ombre dopo Salvini.