Roma. Cinque anni fa sembrava un’umiliazione. “Io nella lista di Zaia? Manco morta”. E così, in un atto di schizzinoso orgoglio, Milena Cecchetto, apprezzata sindaca di centrodestra di Montecchio Maggiore, nel Vicentino, rifiutò la proposta del governatore, ché lei solo nella lista giusta voleva entrare: “Lega nord oppure niente”. Finì con niente: lei rimase nella sua Montecchio e il suo posto lo prese Manuela Lanzarin, che malgrado il suo passato da deputata non disdegnò la proposta dell’amico Luca, e due mesi dopo si ritrovò a fare l’assessore alla Sanità. A pensarci ora, ora che Zaia è Doge supremo e incontrastato del Veneto – padrone venerato di quella piccola patria dove ormai sono comparse, in ossequio allo spirito dei tempi, anche "le tose di Zaia", rivali in saòr delle "bimbe di Conte" che adorano il premier – insomma ora, nell'anno del signore 2020, pare quasi impossibile: eppure nel 2015 le perplessità erano molte, sulla sua lista. “Oggi invece si prendono a gomitate, per entrarci”, sorride il deputato azzurro Pierantonio Zanettin, soldato irriducibile di quell’esercito del Cav. che, specie nel Nord-Est, è in disfacimento.
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