Sì al referendum, per un Parlamento più autorevole
Non si può pensare di fermare la retorica antiparlamentare opponendole il ritratto irrealistico di una democrazia perfettamente funzionante
Può un riformista battersi per conservare l’esistente, sostenendo per di più che quell’esistente funzioni alla perfezione? E’ questa la domanda che mi insegue quando ascolto le argomentazioni per il No al referendum di Tommaso Nannicini, Giorgio Gori e di altri ottimi amici riformisti del Pd. Una domanda che muove tanto dalla mia esperienza di deputato quanto dalla mia profondissima convinzione della necessità di difendere la democrazia parlamentare dalle molte minacce da cui è circondata, in Italia e fuori d’Italia. Quelle minacce muovono dall’antico pregiudizio reazionario verso le assemblee rappresentative, amplificato dal nuovo pregiudizio populista verso le istituzioni democratiche. Due pregiudizi che combattiamo, ma di cui dobbiamo anche conoscere il carburante. Perché la benzina con cui sono alimentati è anche nel cattivo funzionamento dei parlamenti democratici, che ormai da anni non riescono più a svolgere il loro triplice ruolo di rappresentanza, controllo e legiferazione a livelli tali da sconfiggere l’ondata antipolitica in cui siamo tutti immersi. E finché i parlamenti democratici non recupereranno efficienza, rappresentatività e autorevolezza, l’attacco alla democrazia rappresentativa non potrà essere fermato. Per questo ogni sforzo per rafforzare la democrazia rappresentativa deve muovere dal riconoscimento, il più possibile franco e onesto, del cattivo funzionamento delle assemblee parlamentari e dal conseguente impegno a renderle più efficaci ed efficienti.
Mi sbaglierò, ma nelle argomentazioni dei sostenitori del No questo riconoscimento manca del tutto. E la narrazione che si intravede nella loro campagna è quella di una democrazia perfettamente funzionante, insidiata solo dalla perfida retorica del populismo antiparlamentare. Ovviamente quella retorica esiste – ne siamo circondati! – e ovviamente quella retorica ispira le posizioni del Movimento 5 stelle, non da oggi e anche nel caso del provvedimento che ha ridotto il numero dei parlamentari. Ma quella, per l’appunto, è la motivazione politica che ha ispirato le scelte e la campagna del Movimento 5 stelle: che non a caso ha voluto e difeso quel provvedimento solo in termini di riduzione dei costi, con un’argomentazione risibile ma insidiosa. Immaginare di fermare o capovolgere la retorica antiparlamentare (anche dei Cinque stelle) opponendole il ritratto irrealistico di una democrazia perfettamente funzionante, e quindi niente affatto bisognosa di essere migliorata e rafforzata, è un’aspirazione forse nobile ma destinata certamente a essere travolta dalle cose. E corrisponde al fondo a quella “vocazione minoritaria” che troppe volte ha afflitto e menomato il riformismo italiano, spingendolo a battaglie perse in partenza, spesso autolesionistiche e di nessun impatto sulla realtà del paese. Perché quella retorica si combatte, e forse si sconfigge, rilanciando la battaglia per la riforma della nostra democrazia. Una riforma che passa anche dalla riduzione del numero dei parlamentari (perché la verità è anche che siamo troppi, con troppe eccellenti competenze e sensibilità che finiscono per essere annacquate) così come passa da una riforma dei regolamenti delle Camere, da un nuovo rapporto tra i poteri esecutivo e legislativo, da una nuova legge elettorale che non soltanto risolva i vuoti di rappresentanza territoriale che sarebbero provocati dal taglio dei parlamentari ma che superi i pesantissimi limiti del Rosatellum.
Da qui il patto politico che il Pd ha voluto siglare alla nascita del governo Conte 2 e che ci ha visto sostenere il provvedimento, dopo tre votazioni contrarie e precedenti a quel patto, perché finalmente la riduzione del numero dei parlamentari è stata inserita dentro un più ampio disegno di riforma e rafforzamento delle istituzioni democratiche. Oggi quel patto dev’essere rispettato, a partire da una nuova legge elettorale che può essere calendarizzata in Parlamento prima del giorno del referendum e proseguendo poi con le altre misure di riforma e rafforzamento della nostra democrazia. Perché questo è il modo più efficace – da riformisti – per contrastare l’attacco alle istituzioni democratiche: evitare di chiudersi nell’angolo della conservazione dell’esistente, dove finiremmo per essere travolti da argomentazioni populistiche sostenute da un consenso popolare molto solido, limitandosi a un omaggio retorico ai valori del parlamentarismo; impegnarsi per una coraggiosa riforma democratica da cui venga più forza e più solidità per le istituzioni della nostra repubblica.
*Andrea Romano, deputato del Pd