Roma. L’idea, a ben vedere, non è che sia proprio nuovissima, se già nel 1876 (sì,sì, Ottocento), l’allora ministro dei Lavori pubblici, Giuseppe Zanardelli, osservò che, se non si fosse potuti passare “sopra i flutti”, si sarebbe sempre potuto tentare “sotto di essi”. Todo modo para buscar Messina, insomma, e per “unire la Sicilia al Continente”. Solo che poi, passati i decenni e i governi, disfatto il Regno, l’Impero e la Prima Repubblica, si capì insomma che tra le due, l’idea di trapanare i fondali tra Scilla e Cariddi era la meno intelligente. “Tra il ’90 e il ’95 si vagliarono quattro differenti progetti, e quello del tunnel fu il primo a essere scartato”. Giulio Ballio è forse l’auctoritas per eccellenza, quando si parla di come congiungere i due lembi dello Stretto tra Sicilia e Calabria. Romano, classe 1940, è stato per otto anni rettore del Politecnico, e tra il 2010 e il 2011 ha presieduto il comitato scientifico della società Stretto di Messina, dirigendo i lavori che hanno portato alla consegna del progetto definitivo: quello, appunto, del ponte a campata unica. “Oltre a questa ipotesi, c’era quella di una galleria flottante, che costituiva un’incognita, e quella di un ponte strallato a più campate, che tra le altre cose avrebbe creato problemi alla navigazione”. Entrambe, però, risultarono comunque più fattibili del tunnel che oggi, nella noia appiccicaticcia della canicola agostana, è tornato ad animare le fantasie della politica italiana. “Sì, il tunnel subalveo venne scartato subito”, ricorda il professor Ballio. “Sia per questioni di sicurezza, dato che attraverserebbe una faglia sismica attiva e tra le più pericolose d’Europa, sia per motivi tecnici. Perché la galleria andrebbe scavata a circa 300 metri sotto il livello del mare, ma per arrivarci si dovrebbero creare delle rampe graduali, evitando che la pendenza eccessiva renda impossibile il traffico ferroviario. Insomma, per avere tre chilometri appena di tunnel, bisognerebbe scavarne cinquanta”. Ingresso a Bagnara Calabra, uscita a Milazzo: in ossequio a quella vecchia sentenza flaianea per cui in Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco.
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